Musica,
colore e movimento per la cura ed il benessere
Le
Arti Terapie per il benessere psicofisico (articolo pubblicato sulla Rivista mensile 50 & Più –
Ed. ENASCO – Dic. 2006)
di Stefano Centonze
Il personale senso del benessere
Qual è l’idea che ciascuno
di noi ha del benessere? Al di là della molteplicità di fattori, sociali,
culturali e geografici, che possono condizionare la risposta a questa domanda,
il personale senso del benessere nasce sempre da una ricerca. Ovvero, dalla naturale
inclinazione degli uomini a conseguire una dimensione “altra” che ne elevi le
condizioni, sociali, economiche o di salute. Mentre, però, nella costante corsa
al successo, appare improbabile che
possano essere persi di vista gli obiettivi professionali, sempre più
spesso accade di dimenticare ciò che sul momento non sembra immediatamente
fruibile e che, come tale, può essere trascurato e lasciato al caso: noi
stessi.
Gli anni che ci vedono
protagonisti segnano il passaggio tra vere e proprie ere: abbiamo assistito
alla nascita del telefonino, all’era dei computer portatili ultrapiatti e
all’avvento di internet. Tutto in meno di un ventennio. E chissà quante
sorprese ci aspettano (spesso dico a me stesso che sarei voluto nascere tra
vent’anni per beneficiare al massimo di tutto ciò). Tanto progresso, però, ha
mietuto e mieterà non poche vittime: i ritmi frenetici con cui viviamo, le
nostre agende sempre più ricche di appuntamenti, la necessità di essere al
passo con i tempi hanno generato gli automi irritabili che vediamo
quotidianamente per strada, assorti nei
propri pensieri, parlare al telefonino, con la testa sempre in un luogo diverso
da quello in cui si trovano, chiusi nelle proprie spalle e con il fiato corto
per la fretta, l’ansia e lo stress.
Non va meglio con i nostri
figli. Un tempo non tanto lontano, per fare i compiti assegnati a scuola, c’era
la telefonata o l’incontro con i compagni. Oggi i compiti assegnati in classe
si trovano su internet e, se proprio c’è qualcosa da dire, ci sono gli sms o le
e-mail. Così poi resta del tempo per i videogiochi domestici o per ascoltare in
cuffia della musica assordante da un I-POD nano! Risultato: stiamo diventando
isole, chiusi nelle nostre posture, con il collo che va perdendosi nelle
spalle, poco inclini alle relazioni con gli altri, incapaci di manifestare
emozioni, spesso anche solo di pensarle, di farci e di fare una carezza.
Estremizzati, tali
comportamenti possono perfino diventare patologici. In psichiatria, ad esempio,
si parla di psicosi per indicare la frammentazione del Sè e la perdita di
contatto con la propria identità. Fu Freud a proporre l’idea, tutt’ora in auge
nei circoli scientifici che hanno preso vita dai suoi studi, secondo la quale
noi siamo fatti di una minima parte razionale, “emersa”, chiamata conscio, e da
una più grande, “sommersa”, che definì inconscio e che rappresenta la vita
intrapsichica. Dall’equilibrio tra queste istanze, che sottendono il dualismo
corpo-mente, materia-anima, ragione-emozione, dipende l’unitarietà dell’uomo ed
il suo benessere. In altre parole, ogni fattore, esterno – più controllabile -
o interno – meno controllabile, come nel caso di molte patologie -, che produca
un cortocircuito nell’equilibrio tra il “fuori” ed il “dentro” di sé, distoglie
dal benessere e minaccia l’intrinseca peculiarità della natura umana. L’homo
tecnologicus è avvisato.
Le Arti Terapie per il benessere psicofisico
Occorre, dunque, un spazio
per potersi riappropriare del proprio personale senso del benessere.
Principalmente, occorre uno spazio mentale per farlo. E, per favore, abbandoniamo subito l’idea che esso sia
prerogativa di chi è in possesso dei giusti mezzi per poterlo conseguire! Il
benessere – quello vero – appartiene a tutti gli uomini indistintamente, senza
limitazioni anagrafiche, sociali, culturali o geografiche.
Perseguire il benessere vuol
dire recuperare il contatto con se stessi, con il proprio corpo, con la propria
sfera emotiva, con le parti nascoste di sé, con le proprie zone buie, per
ricompattare la perduta originaria unitarietà tra mente e corpo, sfera emotiva
e razionalità. Vuol dire dedicarsi del tempo fuori dal caos per riscoprire la
creatività, il gioco ed il silenzio nell’intento di recuperare il perduto senso
di unità personale, per tornare a riconoscersi, per acquisire maggiori
informazioni su se stessi, per rivisitare e migliorare il sistema delle
relazioni con gli altri.
Non esistono diversità in
grado di limitare questa ricerca. Si potrà, poi, discutere su quanto relativo
sia tale concetto. Il dibattito è aperto…
Da alcuni anni, in equipe
con la psicologa del nostro Istituto, conduco laboratori di Arti Terapie
finalizzati alla scoperta della comunicazione non verbale quale espressione
immediata e diretta delle emozioni. Ovviamente, non è solo questo lo scopo
dei percorsi progettati, dal momento che
ciascuno di essi prevede finalità e obiettivi sempre diversi. Ma tanto che ciò
avvenga in ambiente scolastico, con insegnanti o allievi, in comunità, con
pazienti psichiatrici o con demenza, in ospedale, con degenti o gestanti, o in
contesti formativi, con gli allievi del corso di Musicoterapia, l’incontro con
il benessere è una tappa fondamentale.
Esso, però, è una conquista
ed un punto di partenza al tempo stesso. Imprescindibile in tutte le azioni
volte alla prevenzione ed alla riabilitazione: un traguardo nel senso più ampio
ma anche complementare rispetto ad altri obiettivi degli interventi
programmati. Tuttavia impossibile da raggiungere senza la massima disponibilità
ad accorciare le distanze con la propria vita affettiva.
Perché le Arti Terapie?
Con il termine di A.T.,
nella moderna accezione, si intende l’uso dell’ Arte come canale suppletivo o
alternativo al canale verbale in un contesto di relazione, generalmente ma non
necessariamente orientato alla cura. Tra di esse, la Musicoterapia, la
Teatroterapia, l’Arteterapia Plastico-Pittorica e la Danzamovimentoterapia, a
vario titolo supportate da studi scientifici che ne dimostrano l’efficacia
applicativa sia nei contesti cosiddetti sani che patologici, rappresentano la
migliore espressione della comunicazione che oggi gli esperti definiscono di
senso (per distinguerla da quella di significato, centrata sull’uso della
parola). L’arte in genere, in tutte le sue manifestazioni, si rivolge, infatti,
alla complessità della dimensione umana (corpo, affettività, mente) e consente,
con maggior forza ed immediatezza, l’espressione di sentimenti, emozioni e
vissuti, favorendo autentiche forme di contatto e relazione con se stessi e con
gli altri.
La musica, la danza e l’arte
si offrono, in particolare, come spazio
per poter esprimere tale dimensione emozionale, come contenitori in grado di
accogliere e dare senso alle emozioni, di dare spazio al processo creativo,
inteso come area di pensabilità, dove possono prendere forma, in quanto note,
in quanto gesti, in quanto colore, aspetti che hanno a che fare con il non
detto, con il non ancora pensato.
L’atto creativo, reso
possibile da un simile processo, produce distanza tra il sé e l’oggetto interno
che solo ora è fuori di sé, in altra forma. Accade così che si impara ad
acquisire consapevolezza dei propri vissuti, dei propri confini, non solo
corporei ma anche emotivi, a far diventare storia il passato, a riconoscere il proprio vertice
d’osservazione come punto di partenza per star bene con se stessi e con gli
altri. Perché sperimentare in libertà un’emozione consente di darle il giusto
nome, di riconoscerla e di accettarla come parte di sé, prima che la zona buia
si organizzi per reprimerla. Così come
rivivere un momento della nostra storia alla luce di questo nuovo
apprendimento impedirà che essa riemerga e ci colga impreparati.
Soprattutto, ci fa avere
meno paura della nostra “ombra” che è, poi, l’ostacolo più grande tra noi ed il
nostro benessere.
Prendo in prestito una frase
da Osho per concludere: “se stai cantando, se stai danzando, se stai celebrando
non hai bisogno d’altro: la tua vita è già un paradiso”.
Ipotesi
su Ulisse – Recensione di Maria Grazia De Donatis sul libro di Antonio Mercurio
di Maria Grazia De Donatis
Ipotesi su Ulisse è un libro
sapienziale e come tutti i libri sapienziali risulta al tempo stesso semplice e
complesso.E’ semplice in quanto ripercorre un racconto epico che può essere
letto attraverso leggi universali della vita e dell’uomo. E’ complesso perché
l’autore da ogni metafora usata da Omero trae più significati possibili e non
uno solo e non è facile che siano comprensibili tutti e subito.
Antonio Mercurio attraverso
questo testo compie un’ipotesi sull’uomo, sul senso della vita e sul senso del
dolore e sul significato della ricerca della bellezza che assilla l’uomo,
prendendo come base la narrazione epica di Omero. L’autore vede nel personaggio
di Ulisse un essere umano che attraversa mille patimenti durante i suoi dieci
anni di ritorno verso Itaca ma, soprattutto, Mercurio incontra Ulisse nel suo
mondo interiore e ripercorre con lui i pericoli, i veleni e le lotte che egli
deve affrontare per passare da una trasformazione all’altra e conquistarsi la
strada per una vera immortalità.Ulisse sa, scrive Mercurio, che l’immortalità
che Circe prima e Calipso dopo gli promettono non è una vera immortalità e la
storia gli darà ragione. Chi oggi è ancora convinto che esistono gli dei
dell’Olimpo e che sono immortali? Eppure per secoli i Greci sono stati
profondamente convinti che fosse così e invece Omero aveva capito, prima ancora
dei filosofi presocratici, che era tutta una invenzione umana. Certo non una invenzione basata sulla follia
ma su una profonda saggezza che proietta fuori dell’uomo quello che sta dentro
l’uomo. Infatti anche Omero continua a
parlare degli dèi e a servirsene per esprimere con grande poesia la sua
profonda saggezza. Solo che mentre l’Iliade è piena di dèi che manovrano gli
uomini a loro piacimento, nell’Odissea gli dèi agiscono in continuità a favore
dell’uomo, anche quando l’uomo non lo vede e non lo sa. Il secondo Omero è
completamente diverso dal primo, scrive Mercurio.
Ulisse pur riconoscendo che la bellezza di
Calipso è superiore a quella di Penelope, si rifiuta di sposare Calipso e
rifiutandosi di farlo sta affermando tra le righe che l’immortalità che
promette Calipso non è una vera immortalità. Egli preferisce affrontare altre
pene pur di poter rincontrare Penelope e creare con lei una nuova bellezza, quella
creata dalla fusione di entrambi. E’ nella creazione della concordia gloriosa ,
dice Omero, che può esistere una strada verso una vera immortalità. Qui,
secondo Antonio Mercurio: “Ulisse comprende l’illusione che divora la vita
degli uomini che vanno dietro al potere e alla gloria sperando di ottenere una
immortalità che per questa strada non otterranno mai”. Un altro dei patimenti
che affronta Ulisse per tutta l’Odissea è riconoscere l’odio che nasce sin
dalla vita intrauterina e lì si sedimenta e lì resta rimosso per poter sopravvivere ed alimentarsi.
Mercurio sostiene: “L’odio rimosso è come la dinamite. E’solo questione di
tempo. Per un po’, anche per vent’anni e più, sta fermo come una belva
accovacciata, ma poi viene il giorno in cui un timer segreto scorrendo
velocemente arriva al punto zero e fa saltare tutto in aria.” L’autore
intraprende un viaggio insieme a Ulisse alla ricerca dell’odio rimosso che
alberga dentro ognuno di noi, un viaggio che passa attraverso i traumi passati
e i sentimenti più difficili da accettare come l’invidia, la pretesa,
l’orgoglio, la menzogna e la volontà omicida e suicida e lo compie non per dire
che esistono ma per poterli vedere, affrontare e poi superare. Come?
Un’opportunità, secondo il
Prof. Mercurio, potrebbe essere il movimento della Cosmo-Art creato da lui e
dalla SOPIA UNIVERSITY OF ROME. - La grande intuizione - dice Mercurio - sta
nel vedere l’uomo come un alchimista o meglio un artista che sa fondere i fatti
della vita e il dolore che da essi
promana, con la saggezza e l’arte che sa
trasformare la vita stessa in un’opera d’arte -
. Scrive Mercurio che esistono tre tipi di bellezza: la bellezza prima,
che è quella effimera, soggetta ai danni del tempo e della morte (per essa, la
bellissima Elena, Greci e Troiani sono morti a migliaia); esiste la bellezza
della vita che è quella che tutti conosciamo entrando nella vita e poi subito
perdiamo a causa dei traumi ineluttabili che ci colpiscono (v. lo sviluppo del
pensiero positivo tutto teso a recuperare questa bellezza). Ma esiste anche la
bellezza seconda che è quella che soltanto gli esseri umani possono creare e
che è immortale perché una volta creata non muore più (di essa parla ampiamente la Cosmo-art).
Scrive pure che esistono
forze cosmiche e forze umane, le prime sono: la saggezza, l’arte e il dolore.
Le seconde sono: verità, libertà, amore e bellezza. Se l’uomo decide di
imparare a fondere le forze cosmiche con le forze umane può creare quantum di
bellezza seconda che sommandosi insieme creano un campo di energia che è
immortale. L’arte di fondere il dolore che viene dai traumi della vita, il
dolore che si prova nel rinunciare ai propri veleni, e il dolore di perdere
un’identità che conosciamo per andare verso una identità nuova, aiutati dalla
saggezza che viene dal Sé Personale (Atena) e dalla saggezza che viene dal Sé
Cosmico (Zeus) è capace di trasformare la vita di un uomo in un’opera d’arte.
Molto importante il capitolo in cui l’autore
parla della struttura dell’Io. All’interno dell’Io c’è un Io Persona che è un
principio spirituale e che esiste sin dal primo momento del concepimento; c’è
un Io Psichico e un Io Corporeo e poi c’è un SE’ Personale e un SE’ Cosmico che
ci accompagnano per tutta la vita. C’è
pure un Io embrionale e un Io fetale che rischiano di farci restare per sempre
dentro l’utero, anche dopo che è avvenuta la nascita biologica, perché essi si
oppongono tenacemente alla crescita e allo sviluppo dell’Io Persona adulto e
cercano solo vendetta.
La logica dell’Io fetale è
opposta alla logica dell’Io Persona. Se l’Io fetale è stato ferito, egli non
vuole la riparazione della ferita ma vuole solo la vendetta e la distruzione di
chi l’ha ferito anche se deve attuarla nel futuro e non all’istante. Accade
spesso che la logica dell’Io fetale prevalga sulla logica dell’Io Persona
adulto e l’Io globale resta frantumato e scisso. Prevale l’odio e non l’amore.
Prevale l’orgoglio e non l’umiltà e la vita diventa un interminabile dolore
senza alcuna via d’uscita. Non è così per Ulisse che decide di entrare nella
sua reggia come un mendicante, egli che è un re, e si sottopone in silenzio a
tutte le umiliazioni che gli infliggono i Proci.
Ora come mai tutti si
ricordano dell’astuzia di Ulisse e quasi nessuno si ricorda dell’umiltà di
Ulisse e dei suoi mille patimenti? si domanda Antonio Mercurio.E ancora, come
mai tutti si ricordano che Ulisse brama il ritorno (il nostos) e pochi si
ricordano che Ulisse brama ritrovare la sua sposa, com’è scritto sin dal
proemio dell’Odissea? Come mai nessuno
vede che Penelope ha un cuore di pietra e che si è messa in casa più di cento
pretendenti pronti ad uccidere sia Telemaco sia Ulisse? A queste domande, in una
conversazione privata avuta con l’autore, egli risponde che il cammino
dell’umanità si svolge per tappe e le opere d’arte ad ogni tappa vengono
comprese in maniera diversa.La religione cristiana che per tre secoli dopo la
sua nascita è stata perseguitata dagli imperatori romani, quando, con
Costantino, è diventata religione di stato ha cominciato a perseguitare e distruggere
le religioni pagane. I monaci benedettini che pure hanno conservato le opere
dei classici antichi non hanno fatto altrettanto con l’Odissea. Il poema di
Omero è arrivato in Occidente solo nel 1500 dopo la caduta dell’Impero
Bizantino. Dante però nel 1200, senza aver mai letto l’Odissea, aveva già
condannato Ulisse ponendolo nell’inferno nel girone dei fraudolenti. Forse non
tutti sanno che i gruppi marmorei che rappresentavano episodi tratti
dall’Odissea, posti nella villa di Tiberio, sono stati distrutti a martellate
da monaci cristiani. E’ evidente che la mitologia cristiana si sente minacciata
dalla mitologia greca e in particolare da quella che riguarda Ulisse. E il
motivo può essere che l’ideale di uomo artista della sua vita secondo il
modello di Ulisse è in contrasto con l‘ideale di perfezione assoluta e con
l’ideale di santità proposto e imposto dalla Chiesa cristiana.
Oggi i valori cristiani sono
in via di sparizione in Occidente e forse a partire da oggi è possibile capire
e accettare i valori che Omero propone attraverso la figura di Ulisse, come
prima non è stato possibile. Noi non siamo santi e non vogliamo essere né
peccatori né ipocriti e quindi non vogliamo modelli da imitare impossibili per
la nostra vita. Noi vogliamo affrontare
e trasformare il dolore e la colpa in una bellezza che è immortale e questo è
quello che ha fatto Ulisse e noi possiamo imitarlo. I santi servono per
chiedere grazie e miracoli ma non servono come modelli di vita e nello
sbandamento totale odierno è di modelli che abbiamo bisogno. Lo scrittore
Coelho, che vende milioni di libri in tutto il mondo, dice che la sapienza è
conoscenza per potersi trasformare. Omero ha trasferito sulla figura di Ulisse
tutta la sua sapienza e l’arte di trasformare la vita in un’opera d’arte. I
papaboys di Wojtyla hanno lasciato centomila preservativi usati nel campo di
Tor Vergata a Roma. Erano venuti per ascoltare un papa o per stare insieme tra
loro?
Ulisse è il grande artista
che di tappa in tappa trasforma se stesso e, avendo prima trasformato se
stesso, può poi trasformare Penelope e non ucciderla come invece raccontano
certe versioni del mito di Ulisse che Omero ha scartato dal suo poema. Questa
meta di realizzare con Penelope un incontro d’amore, come non è mai avvenuto
prima, dà il senso preciso del perché Ulisse debba affrontare nel suo viaggio
tutti i mostri che si porta dentro e che non sono visibili e debba agire i suoi
veleni esistenziali per poterli riconoscere come suoi e poi liberarsene. Un’accurata
lettura dell’Odissea, come ci guida a farla Mercurio, rivela tutta la sapienza
di Omero e rivela come questo poema sia la più grande storia d’amore che sia
mai stata scritta dalla letteratura di tutti i tempi.
Sicuramente Ulisse è stato
un alchimista dell’antichità, ma l’alchimista di quest’epoca è senza dubbio
Antonio Mercurio che ha creato il movimento della “Cosmo-Art” mettendola al
servizio di tutti per poter insieme a lui, insieme alla Vita e insieme
all’Universo, trasformare le nostre parti oscure in parti luminose; e poi
creare la sintesi degli opposti, maschile e femminile, vita e morte, follia e
saggezza, orgoglio e umiltà, verità e menzogna, amore e odio; e così creare una nuova Bellezza, quella che
non muore mai, in un contesto corale che strappa l’uomo alla sua solitudine, al
suo narcisismo e alla sua mortalità.
Ipotesi su Ulisse è un testo
saggio che incontra la saggezza che viene da ognuno di noi e va incontro alla
saggezza della Vita.
Il
quadro sulla parete? Fa bene come una medicina
di Elaine Poggi
Il quadro sulla parete? Fa bene come una medicina - di Elaine Poggi
(articolo pubblicato sul Corriere della Sera del 27 Marzo 2010 a firma di
Filippo Bernardi)
La ricerca Il luogo di ricovero infuisce
sull’umore. Quando e’ piu’ bello,
aumenta il senso di fiducia verso la vita.
Anche solo un disegno o una
fotografia, al posto di una parete spoglia, possono aiutare a convivere con un
tumore. E’ l’arte che si fa
terapia: interrompe il bianco dei muri
d’ospedale e dona emozioni a chi crede di non poterne provare piu’. Un’indagine co-ordinata dalla Struttura
complessa di Oncologia di Careggi – e a cui hanno partecipato i centri di
Messina, Ancona e Perugia – ha dimostrato che un ambiente meno asettico aiuta i
pazienti a riacquistare un po’ di fiducia nella vita. I risultati della ricerca sono stati
presentati ieri all’incontro “Oltre le cure tradizionali… L’arte come terapia”, tenutosi al Grand Hotel
Baglioni e moderato dal direttore del Corriere Fiorentino Paolo Ermini.
Lo studio, svolto con il patrocinio del Goirc (Gruppo oncologico italiano per
la ricerca clinica) e il supporto di Lilly, ha riguardato 345 pazienti. Le stanze e i corridoi dei centri oncolgici
coinvolti sono stati tappezzati con le fotografie donate dalla Fondazione
“Healing Photo Art” e scattate dalla stessa presidente, Elaine Poggi, che ha
deciso di dedicarsi all’arte – terapia dopo averne notato gli effetti positive
sulla madre ricoverata.
“Ho lasciato la mia famiglia
a Firenze e sono andata negli Usa per assisterla - ha raccontato - Le pareti della sua stanza d’ospedale erano
tristemente nude e cosi’ ho deciso di arricchirle con alcune mie foto di Firenze
e di paesaggi naturalistici. La camera
ha subito assunto un’aria piu’ serena e cosi’, quando la storia di mia madre si
e’ conclusa, ho deciso di riempire tutti gli ospedali del mondo che me lo
chiedono”.
Oltre che in Italia e negli
Usa, gli scatti di Elaine Poggi si trovano in Brazile, Croazia, India, Maldive,
Polonia, e molti altri Paesi ancora. E i
risultati sono chiari: l’84% dei
pazienti coinvolti nell’indagine, ha dichiarato di preferire le stanze decorate
a quelle spoglie. “Ci rendiamo conto
sempre piu’ spesso – ha detto il direttore dell’oncologia medica di Careggi,
Francesco Di Costanzo – che i pazienti ricoverati hanno uno stato di depression
psicoemotiva che, oltre ad essere dettato dalla malattia, e’ determinato anche
dagli ambienti che li circondano. Dalla
ricerca emerge che quando questi sono particolarmente confortevoli, i malati
sono piu’ sereni e seguono meglio le indicazioni terapeutiche. Le strutture e i medici non sono ancora
preparati a questi nuovi approcci, ma si tratta di un ritardo che dobbiamo
colmare”.
Nel corso del convegno, a
cui sono intervenuti anche la professoressa Paola Caboara Luzzatto (esperta di
arte-terapia), lo psico-oncologo di Careggi Leonardo Fei, il president
dell’Aimac ed ex ministro della Sanita’ Francesco De Lorenzo, l’architetto Franco
Pasti e il critico d’arte J. T. Spike, e’ stato anche illustrato come
un’immagine non sia uguale a un’altra per il malato. Il criterio da sequire e’ la
semplicita’: foto e paesaggi al posto di
quadri astratti. Una collina assolata,
non una campagna autunnale. Un’alba
invece di un tramonto.
“Oltre le cure tradizionali…
L’arte come terapia”, nel convegno si sono discussi i risultati della ricerca
su 345 pazienti: le immagini fanno bene
all’umore. Foto e paesaggi sono da
preferire ai quadri astratti.
Esperienza
con Software di valutazione nell’approccio musicoterapico col malato di
Alzheimer
di Roberto Bellavigna (PR), Musicista, Musicoterapista
Il mio incontro con gli
anziani della Rossi Sidoli iniziò circa 13 anni fà quando l’allora animatore
della struttura sapendo del mio interesse per la musicoterapia mi propose di
iniziare un progetto di breve durata con malati di Alzheimer e con malati di
Parkinson. Poca era la letteratura tradotta in lingua italiana e pochi erano i
collegamenti che potevano essere attivati con esperienze di altre strutture.
Accettai però con entusiasmo questa nuova sfida con l’intento di rendere la mia
presenza in casa di riposo strutturata e significativa. La vita in casa di
riposo era strutturata con orari precisi con personale ausiliario sempre
presente supportato da personale medico e infermieristico.
A rinforzo dell’attività dell’animatore spesso interveniva un gruppo di
volontari con proposte aggregative. A giorni alternati invece vi era la
presenza della fisioterapista con un proprio programma riabilitativo autonomo.
Le 3 suore oltre che occuparsi a tempo pieno del carico assistenziale si
occupavano dell’aspetto religioso della vita degli aniani. La casa di riposo
era una realtà nuova, aveva un proprio modo di essere e di esistere. All’arrivo
in casa di riposo l’anziano acquistava nuova dimora, con sè pochi oggetti e
tanti ricordi, molte persone nuove, nuove orari e comportamenti differenti.
Quasi tutti gli ospiti soggiornavano durante l’intera giornata nei medesimi
luoghi ma sempre più rare rispetto alle abitudini precedenti risultavano le
vere occasioni di socializzazione condivise. Anche gli spazi privati erano
sempre più compromessi, le camere avevano più letti e i bagni nei vari piani
erano in comune. Fin dai primi incontri mi accorsi te della grande gioia degli
anziani di fronte alle mie proposte musicali. La musica era ricordo, presenza,
veicolo di attività per il futuro. La musica era uno strumento di comunicazione
supporto ad altre attività o attività autonoma. Da parte di molti anziani vi
era dichiaratamente l’esigenza di comunicare con gli altri di rendere ancora
protagonisti se stessi con la propria storia. Difficile risultava la convivenza
fra malati di Alzheimer che spesso necessitavano di un approccio comunicativo e
assistenziale personale con le persone autossufficienti. Da p arte della
struttura e dei collaboratori vi era la massima disponibilità a cooperare per
raggiungere obiettivi comuni. Vi era quindi una grande disponibilità di spazi ma
vissuti un modo disarmonico con pochi momenti associativi condivisi dalla
maggior parte del gruppo. Negli anni ho
organizzato il mio lavoro con la musicoterapia come se fosse una partitura
musicale. Nella sua visione verticale le collaborazioni con il personale della
struttura; nella sua visione orizzontale il lavoro con gli anziani con le sue
diverse attività. La mia presenza aveva il compito di essere armoniosa, vibrare
con il vissuto della vita degli anziani e il vissuto e l’organizzazione
dell’intera struttura e dei suoi operatori. Il mio lavoro doveva essere
specifico e generale nello stesso tempo. Per questo motivo ritengo importante
una condivisione di intenti fra gli stessi operatori Lo staff progetta percorsi
e non rigidi protocollo. La musica per le sue particolari capacità di essere
veicolo della comunicazione, espressione di sentimenti, recupero di ricordi,
momento aggregativo, misura timbro intensità e frequenza, sostegno e rinforzo
del movimento, sfondo e prima parte, poteva ben supportare la mia presenza in
struttura. Negli ultimi anni è stato di
valido supporto il contatto e la collaborazione con il Progetto Anziani
Musicoterapia del quale sono socio fondatore. Questa associazione nasce nel
2001 e cerca di essere punto di confronto fra operatori della musicoterapia con
anziani in Italia. Da questa esperienza sono nati convegni, scritti, seminari
che hanno incrementato la letteratura italiana sul tema e hanno creato
interesse nei vari settori riguardo l’uso della musicoterapia in strutture per
anziani.
Sono di solito presente in casa di riposo 2 giorni la settimana. La mia
presenza a supporto e in accordo con lavoro degli altri operatori converge
schematicamente attorno a questi obiettivi:
1) Musica come momento
aggregativo e socializzante
2) Musica come attivazione
del movimento nella riabilitazione
3)Musica come partenza e
recupero dell’identità sonora dell’anziano per attività legate alla prevenzione
e recupero cognitivo
4) Musica come
accompagnamento della vita verso la morte
Nell’incontro con gli
anziani dai malati di Alzheimer alle persone autosufficienti di fondo un
progetto generale che modula la musicoterapia da indiscussa protagonista a
supporto ad altre attività.
1) Grande gruppo – Salone
Come primo momento
descriverei l’esperienza con il grande gruppo in salone. E’ una esperienza
aperta a chiunque voglia intervenire alla quale partecipano settimanalmente dai
30 ai 50 anziani spesso accompagnati anche dai loro famigliari. L’incontro ha
una durata massima di 1 ora e mezzo ed è incentrata sull’uso di canzoni e
sull’improvvisazione libera in modo tale da attivare il canto corale che lo
scambio e il recupero di melodie o testi, il commento il dialogo e le
riflessioni personali, l’uso di strumenti musicali di facile utilizzo, semplici
movimenti guidati, musica e ballo come momento di accoglienza. Promosse e
organizzate in questo contesto uscite programmate, visione di spettacoli
teatrali, feste, incontri musicali con studenti, celebrazioni ricorrenze
particolari con l’accompagnamento della musica.
2) Piccoli gruppi – Luoghi
vari
In accordo con altre figure
professionali ho progettato incontri di musicoterapia con piccoli gruppi
formati prevalentemente da malati di Alzheimer. L’intento è quello di prestare
maggiore attenzione ad obiettivi specifici spesso attinenti al recupero o
all’attivazione di funzionalità cognitive.
3) Piccoli gruppi – Palestra
Ho lavorato spesso in
palestra con strumentario ginnico con progetti concordati con la fisioterapista
in questa situazione la musica è utilizzata prevalentemente come rinforzo e
attivazione del movimento o come momento di rilassamento.
4)Singoli- Luoghi vari
Incontro con i singoli per
attuare progetti specifici. Gli incontri sono sia frutto di una progettazione
di equipe monitorata nel tempo che inc
ontro fortuito. Non sempre infatti vi è
la possibilità di agganciare l’anziano nei luoghi preposti, molte volte ogni
occasione è utile per conoscere le persone. Mi capita spesso di girare per i
corridoi, per le stanze, nelle camere, nei giardini con la fisarmonica e la
musica diventa occasione di dialogo estemporaneo.
5) Camere
Sempre più spesso gli
anziani conosciuti nelle varie occasioni mi chiedono di continuare a suonare
nelle camere anche quando le situazioni di salute sono definitivamente
compromesse. La musica, il dialogo, il cantare insieme è occasione per
accompagnare e condividere la vita anche in prossimità della morte.
6) Musica di ascolto
In alcuni periodi dell’anno
in alcuni giorni della settimana nei corridoi, nei saloni, nelle sale da pranzo
si programma una filo diffusione di musica registrata che ripercorre generi
musicali diversi. Musica come sottofondo, musica di arredo, musica che
armonizza (temporizza) gli ambienti.
Gli strumenti della
musicoterapia
Strumenti musicali
-Strumenti musicali con gli
anziani: Con piccoli gruppi di anziani autosufficienti ho costruito strumenti
musicali di vario genere, che per le loro qualità timbriche, estetiche,
evocative, tattili, artigianali si sono resi utili nelle diverse occasioni.
-Strumenti musicali di
facile utilizzo già presenti nello strumentario Orff e negli strumentari
etnici. Gli anziani con i quali sin ora ho lavorato hanno sempre preferito
strumenti colorati costruiti con materiali naturali e con timbriche definite.
La scelta dello strumento è spesso abbinata a facilitare e potenziare il
movimento nel tempo e nello spazio
-Strumenti musicali guida
usati in prevalenza dal musicoterapista per condurre gli incontri
Fisarmonica: questo
strumento è sicuramente legato alla tradizione, al repertorio, all’identità
sonoro musicale degli anziani. E’ facilmente trasportabile, ha grandi qualità e
potenzialità melodiche, armoniche, agogiche e timbriche. E’ un valido strumento
solista e di accompagnamento al canto
Tromba. Strumento evocativo
legato agli accadimenti e al repertorio del periodo delle grandi guerre nonchè
lo strumento della tradizione delle bande di paese.
Tastiera elettronica collegata al computer: Spesso utilizzo per facilitare la
creatività degli anziani.
Material vari: Materiale di
supporto di vario genere (teli, attrezzi ginnici, oggetti colorati, oggetti
sonori, tratto grafico e …..molto altro)
La Canzone in terapia
Nella proposta del dialogo
musicale con gli anziani ho utilizzato molto la forma canzone. La canzone è’
materiale vivo nell’identità sonoro musicale delle persone, è materiale che
opportunamente adattato alla situazione è utile strumento della comunicazione.
Possono essere prese in considerazione sia le canzoni del passato che quelle
apprese nel tempo, nonchè la composizione o la riedizione di materiale nuovo
adattato a situazioni in corso. Componenti di riferimento e variabili della
canzone in terapia possono essere la forma, lo strumentario, gli abbinamenti,
la struttura musicale, le sequenze fra le stesse canzoni, le omissioni, le
interpolazioni dei vari parametri musicali o testuali.
Il senso dell’intervento di
musicoterapia
Ritengo che la vera
competenza del musicoterapista sia quella di saper utilizzare il materiale
sonoro non esclusivamente come semplice intrattenimento ma come utile strumento
della comunicazione che partendo dai bisogni progetta in equipe percorsi
dinamici. Percorso musicale inteso come dialogo sonoro: accompagnare, condurre,
aspettare camminare insieme verso obiettivi personalizzati. Necessita
ovviamente che si consideri la persona nella sua interezza nella sua storia
nella sua situazione attuale, nel suo contesto. Musica come valore dell’essere
nel tempo e nello spazio.
Valutazione
Il confronto con altri
colleghi, il lavoro di equipe ha prodotto un software da me utilizzato che ha
l’intento di monitorare in abbinamento ad altre schede già in uso in ambito
medico i risultati dell’attività di musicoterapia in casa di riposo. Il
software già in uso in varie strutture italiane presto sarà tradotto anche
nella sua versione in inglese. Questo software utilizzato anche con le demenze
incorpora sia schede di valutazione musicali che altre di valutazione
multi-dimensionale. La sua compilazione è effettuata in equipe.
La
mente generativa (o pro-creattiva)
di Alessandra Lancellotti
Il sintomo, la crisi, il
disagio, sia esso emotivo (psichico) o …finanziario, è un segnale per
cambiare,una strategia,atta a modificare i comportamenti sia nelle famiglie che
nelle aziende.E’ una scrittura che prende
il corpo e la mente in un gioco di contrapposizioni speculari, dove non
si sa chi e’ causa, chi e’ effetto. E’
una comunicazione di cui dobbiamo decodificare
il senso e il segno.da doive viene e soprattutto che cosa vuole,dove và.
Da molti anni mi occupo del
cambiamento come scienza e come ”mestiere”, con i pazienti e con le imprese, le
persone in cerca di felicità e le aziende in cerca di strategie per
sopravvivere. Del “change” come possibilità per le persone di trovare strade
nuove, alternative di vita, modi di “vedere” i bisogni in funzione dei
desideri. Ho sempre considerato il sintomo psichico e psicosomatico come un
segnale forte, un crittogramma dell’inconscio, una nota stonata in una melodia
da ritrovare. Una strategia di comunicazione che il paziente adotta nei
confronti del gruppo sia familiare che lavorativo. La crisi sarà per tutti
,un’occasione di rinascita? Un’ occasione cre-attiva? O pro-creattiva? La crisi
trovera’ una mente altrettanto
generativa?pro-creattiva? resiliente? E come?
Il sintomo ti appare nella vita per segnalarti che sei su una pista troppo
battuta e forse sbagliata. Arriva per dirti che devi cambiare.In questo senso
e’ benefico, perche’ ti dice basta!E’ una svolta,il sintomo,che ti fa male ,ma da cui puoi risorgere, ome nelle
aziende. I sintomi,i disagi,le crisi,sono dunque il necessario pedaggio da
pagare per il cambiamento.
La vita richiede una
riorganizzazione e una ri -negoz-iazione
continua dei centri cerebrali e dei
flussi neuronali, che gestiscono emozioni,
punti di vista, sensazioni, obbiettivi: come quando ci si innamora, si
deve ripartire quasi da zero per
conoscersi, collegarsi, ri-conoscersi e riconoscere sé stessi nuovi. L’amore
genera, oltre che salute, anche una mente generosa. Contrariamente,la rabbia e
l’odio ci rendono rigidi,non aperti e indisponibili.asse chiuse,in cui e’
difficile mettere dentro qualcosa.La rabbia dunque e sentimenti
negativi,influenzano negativamente i flussi del cervello neuronale e non lo
rendono plastico,reattivo,procreativo, generativo. Bisogna prima sciogliere i
nodi umorali per avere visioni chiare e ottimali,questo vale per la famiglia
delle aziende che per le famiglie, soprattutto se allargate.
I nodi viscerali bloccano la
creattivita’ mentale in un processo di regressione e inibizione fino alla morte
delle iniziative,la depressione sia in senso aziendale che familiare. Esiste lo
stesso nesso di causalita’ fra rabbia e inibizione all’apprendimento.Fra odio e
rancore e mancanza di spirito di sacrificio di motivazione. Per far ripartire la mente pro-creattiva,bisogna
togliere nodi e grumi di insofferenza,pena il blocco dell’attivita’ e
dell’attivita’ mentale.
L’amore e la mancanza di
paura nei confronti del futuro, permette invece
di apprendere, addirittura ci dà gioia nell’apprendere, e di stare bene assieme agli altri(i cosiddetti clienti interni,i
nostri collaboratori):
Tanto che l’ossitocina
(ormone rilasciato in fase di innamoramento) è chiamato anche il modulatore
dell’impegno!Tutto questo dipende dalla fiducia che abbiamo in noi stessi,nel
nostro potere relazionale,che è principio di ogni comunicazione.Fiducia e
creattivita’ per far fronte alla crisi. Se ci sono sintomi, manca la fiducia
relazionale,manca il patrimonio piu’ grande che è la capacita’ di comunicare.
Smettiamola di temere
futuro, prendendo i sintomi come crisi e la crisi come sintomo e come sfida,
per dare nuove accelerazioni o volute decelerazioni, a pensieri ed azioni. Se
così faremo, moduleremo i nostri cervelli in maniera plastica per i tipi di
difficoltà che ci aspettano. E sapremo superare gli ostacoli. Altrimenti i
primi ostacoli saremo noi, le paure, le insicurezze, la mancanza di speranza ,il nero con cui tingere ogni cosa. Mi ricordo
Maria Concetta che decise di cambiare vita
dopo una brutta malattia. Mise un atelier
d’arte vicino a Spino d’Adda. Chiamò pittori della luce,ecologisti in
erba,disegnò il “Nodo dei sogni ”centro per l’arte e l’ambiente. Guarì dal mal
di vivere che era diventato melanoma e divenne,la sua casa, fulcro di attivita’
varie,che partivano da cultura ,natura e arte. Tutto divenne dolcezza e
cambiamento nella sua vita. Persino i mobili di casa sua non volle piu’ vedere
e li fece lei stessa con le sue mani,piu’ rotondi,come i vecchi trumeau della
nonna , piu’ dolci : meno razionalismo piu’ pittura. Il sintomo l’aveva aiutata
a vivere meglio...
La carta giocata era la
vita. La vita, ora,in quelle stanze,continua in modo piu’ sinuoso, fra le
pieghe dell’Adda. Ma c’e’ bisogno di una brutta malattia per cambiare? O di un
fallimento secco come un colpo di frusta? Non possiamo vedere prima e generare
nuove forme di adattamento sia sul piano umano ,che aziendale,nella
comunicazione e nella relazione?Persino i siti web sono talmente piu’ umani di
noi,piu’ comuni- cosi,da essere preferiti alle nostre persone!
Mi ricordo anche
un’azienda,con sede vicino ad Alessandria.Tutto filava liscio.Improvvisamente
una crisi di leadership, fra il padre ed
il figlio.Avevano costruito muro contro muro.Il primo ad accorgersi di questa
de-generazione fu il project manager,la persona appunto che si prendeva cura
del futuro dell’azienda: che mi chiamo’. Mesi e mesi di riunioni centrate sulla
comunicazione sul e del gruppo .Chi
stava con chi e per quale motivo.L’azienda si era spaccata come quando due si
separano. Da una parte il padre con alcuni collaboratori,dall’altra il figlio,
quasi solo. La guerra,la competizione era dentro,e non solo fuori,come capita
anche alle migliori famiglie. Ora l’azienda va a gonfie vele,poiche’ la crisi
ha dissolto quei nodi comunicativi quei silenzi e quei musi,quegli sbarramenti
comunicazionali che relegavano il ruolo di ciascun membro dell’azienda
all’oppositivita’ e dunque alla stagnazione produttiva. Anche l’azienda e’ una
famiglia. Le dinamiche psicologiche e comunicazionali sono le stesse. Per questo
hanno bisogno ogni tanto di una cura.Di una sana decriptazione.Come per i
geroglifici.E di vedere piu’ luce nel futuro,anche a breve,fra i membri stessi
della stessa business community.
Ma vediamo cosa succede quando stiamo male?
Quando “siamo giu’ di
morale”siamo di cattivo umore, depressi, la plasticità del cervello
s’interrompe , s’irrigidiscono gli arti (il colpo della strega!),e i nostri
comportamenti interattivi,e sul piano biologico ed organico si abbassano le difese immunitarie, non
apprendiamo più: ma anche questo dis-apprendimento è preludio al cambiamento. Per
cambiare mente, dunque, dobbiamo paradossalmente stare male nella vecchia
pelle, guarire dai vecchi
sintomi,cambiare dinamiche, modi di pensare il futuro. Come i bruchi ,da cui
escono le angeliche farfalle!Dobbiamo sdoganare le abitudini che ci rendono
secco il cervello.Conoscere meglio i sintomi per combatterli.
La mente ed il sistema
psicologico ed affettivo,sono correlati
e in continua trasformazione,a seconda delle relazioni,delle comunicazioni,dei
comportamenti ,del pensiero e della
rappresentazione che una persona ha di sé stesso,della forza iconica, simbolica
della cultura che possiede, della passione che rafforza il pensiero in un
circolo virtuoso di straordinaria potenzialità evolutiva..
Oggi all’Ospedale
Fatebenefratelli,a Milano,ad una donna depressa, si somministra la musica di
Wagner,di Vivaldi,a secondo del grado di patologia!
Conoscevo un manager,casa di
sicuro effetto, architetto di punta. Tutto spigoli bianco e nero. Si ammala la figlia Sonia,ha una sclerosi:la prendo
come paziente,in base al principio che sotto la
depressione di una figlia dimenticata , c’ è tanto fuoco da riattizzare, tanta affettività da far emergere dal
rapporto , molte parole che chiedono di riaffiorare al posto della malattia. Chiedo
al manager padre di cambiare tutto in quella casa fredda e distante, e di
incaricare la figlia di arredare quegli interni cosi freddi
impersonali,anaffettivi..Contemporaneamente ai colloqui che avvenivano nel mio
studio chiesi a Sonia di darsi da fare con imbianchini,tappezzieri,mobili presi
in negozi anche di seconda mano.
Il tetto (!) della cifra per rifare casa
era bassa,in modo da stimolare l’ allegria mentale della ragazza.
Tre mesi dopo la casa era tappezzata di vecchie foto ,soffici. cuscini, vecchi pizzi. Assieme a nuove icone ,foto di attori,paesaggi
incantati.Era rinato il legame e con esso il soffio della vita.
Aver costruito la propria
casa,ha ridato fondamento e radici a Sonia.Arrivate le endorfine(ormoni del
piacere),si sono alzate le difese immunitarie.Il clima emotivo in famiglia è
diventato caldo:c’e’ voluta una sclerosi della figlia, perche’ il padre prendesse tutte quelle cure e quelle responsabilita’
che non si era preso prima!
Il darsi da fare per
qualcosa,prendersi impegni,lottare per qualcosa,rendersi utili,colora la vita,
tonifica,ci mette in comunicazione, ci ridà il sorriso, che e’ il primo benvenuto per tutti. La passione emotiva ed
affettiva,la spinta motivazionale,l’entusiasmo contagioso sono un fattore
biologico primario,di nutrimento per l’architettura emozionale del cervello,
per la sua neuro-plasticità. Piu’,a volte ,di qualsiasi medicina.. Senza
amore,muoiono parti del cervello,che a sua volta disinnesca reti neuronali,che
abbassano le difese immunitarie.,che a loro volta secernono ormoni killer.in un circuito che si
auto-avvita. La sclerosi di Sonia,ragazza
di ventitre anni, si e’ fermata alle prime fasi.
Ecco perché i sintomi ,siano
essi familiari o aziendali,sono sentieri impervi, ma luminosi (o “numinosi”?)
:ci chiedono di fermarci, per riscoprire il daimon, il talento, l’energia
vitale bloccata, la connessione che si è spenta, l’amore che hai perduto,la
ferita che e’ rimasta aperta.Star male è il primo segno di una strategia globale di cambiamento(cambia-mente!) della
vita: il paziente diventa un “senziente” poiché sente che il sintomo gli sta sussurrando qualcosa che non
vuole o non sa capire. Dipende anche da
te come guarire,che strada prendere.
La tua medicina e’ il modo di affrontare la vita e la morte.Il
tuo cervello è “infinito” (Norman Doidge, Il cervello infinito, Ponte alle
Grazie, 2007) :usalo attraverso parole nuove, approcci diversi ed
entusiasmanti,colori e movimenti ,anche di danza del pensiero. Così è anche per
le strategie d’impresa: se un’azienda sta male non sono solo i conti che
traballano, ma è soprattutto la mancanza di progettualità e di obbiettivi, di
vision, il blocco emotivo e cognitivo del capitale umano, che la intralciano
nel processo produttivo. Come per le madri nel processo riproduttivo.
La conoscenza e l’amore per
il futuro, il pre-vedere e il “sentire” ciò che sta accadendo, è dote materna:
deve diventare un allenamento(un’allattamento?),un modo di nutrirsi, costante
per chi lavora e per i “lavoratori della conoscenza”.L’insula controlla queste
funzioni e d e’ a sua volta una ghiandola posta sotto la corteccia cerebrale
,deputata a sentire prima le cose.L’insula e’ deputata anche al cosiddetto
sesto senso,negli affari e negli amori,per la tutela dei bambini e la tutela
del patrimonio.E’ piu’ sviluppata nel cervello delle donne(cfr.i circuiti
legati all’affettivita’,all’umore e all’intuizione)
Il pre- sentire, il prevedere sono visioni corrette della mente: non
rifiutiamoci di ascoltarle! Gli antichi usavano questo tipo di cervello per
qualsiasi funzione:in quel caso la mente diventava pro-cre-attiva,che significa
creare prima attraverso le rappresentazioni mentali,quello che si sente che
avverra’. I Romani non avrebbero fondato un impero,ne’ Alessandro Magno sarebbe
stato cosi’ grande senza l’ausilio di questo tipo di
“mente”immaginifica,pro-creattiva, appunto. Quello che stanno facendo ora i
coach delle grandi imprese sportive,che allenano i loro campioni secondo questo
tipo di rappresentazione che precede la realta’.. Le persone che hanno usato
una mente procreattiva ,sono nei secoli, stati definiti visionari.. Visionari
come ,Madre Teresa di Calcutta, Ghandi, Martin Luther King! E visionario era
Freud,Jung,la Klein,Freud,per non parlare dell’ultimo Hilmann . Chi non cambia
svilisce, mortifica, inganna, sopisce, sottomette, non ascolta, non rimbalza. Soprattutto
ignora che l’insula, piccolissima zona della corteccia cerebrale, ha la
capacità di prevedere intuitivamente, di avere dei pre-sentimenti utili per la conoscenza del futuro. Tutto ciò è diventato scienza. Alex
,20 anni,figlio di borghesia ricca
milanese,alla fine del 2008 ,diceva ai suoi genitori,”togliete
tutto dai fondi,ci compriamo una
campagna e ci piantiamo cavoli biologici come in Bulgaria.” Poi vedremo.”Lo hanno
preso per pazzo e delirante. Ma gli assistenti e i direttori dei fondi e delle
banche dicevano “ma lei è matto, proprio adesso che vede i grafici,si guadagna
finalmente bene………..non vorra’ mica?” e cosi tutti a far coro. “Sei il
solito,ansioso,non ti fermi mai,non puoi restare mai nello stesso
posto……….”Insomma piu’ la sua mente anticipatrice parlava,piu’ sembrava che
altri lo maltrattassero come un’idiota che ha le travvegole. Le cose andarono
male per il patrimonio della famiglia,ma
il fatto piu’ incredibile e’stato , che nessuno riconobbe almeno dal punto di
vista morale,la capacità di A. di prevedere le cose. E non era la prima
volta!:Questo tipo di maltrattamento lo si somministra di solito in famiglia,
quando spesso una persona “giovane”, si permette di dare consigli ritenuti visionari ai genitori o ai
collaboratori e ai dirigenti. .Viene messo al bando. Spesso questo succede
nelle aziende di tipo familiare e viene chiamato il problema del gap generazionale.Ma
è qui il punto:il sogno ,la capacità di prevedere, progettare,cambiare
approccio al problema,non staccandosi dalla realtà,l’abilità di intravvedere
una vision (una visione), vince nella
vita professionale come in quella personale.
Un giovane e’ più vicino al
futuro:bisogna ascoltarlo,se,competente, sa prevedere gli avvenimenti ma nessuno lo ascolta Per questo spesso si
deprime,si sfiducia ,spesso si ammala. La sua mente e’ troppo avanti rispetto
al conformismo e viene delusa. Usa invece il tuo cervello umorale,flessibile, e
avrai possibilità infinite di risolvere i problemi, come le madri con i figli. Da
poco tempo (Louane Brizendine, Il cervello delle donne, Rizzoli 2007) si è
scoperta la straordinaria plasticità e fecondità mentale delle donne che
sentono, decidono, sono dotate di senso decisionale e protettivo, di intuizione
istintiva per salvare i loro piccoli: soprattutto sono allenate a risolvere
mille cose contemporaneamente. Abituate ad andare su e giù con l’umore, proprio
per via dei loro ormoni e del loro tipo di cervello, (il “cervello ormonale”),
sono dotate di resilienza, di una propensione biologica e psichica al
cambiamento, al rimbalzo, per compensare con il “fare”il “non avere”, o il
sentire sé stesse culturalmente inferiori rispetto agli stereotipi sociali che
le riguardano. Esse sono infine dotate di corpo calloso che permette
l’interazione fra i due emisferi cerebrali:la nascita del bisogno e della
necessita’ di comunicare nasce fisiologicamente dalla originarietà del loro stesso cervello. Inoltre, hanno
instaurato reti di comunicazione fin dall’inizio della civiltà: il nostro
secolo ne è la sostanziale riproduzione virtuale.Eppure non è ancora cambiata
la loro subalternità psicologica nei confronti dei loro partners.
La mente del terzo millennio
sarà dunque umorale ,che “sente”e pre-sente oltre che ragiona,se la conosciamo
bene, e la sappiamo usare,una mente sentimentale e sensoriale. Femminile,
flessibile,e“cangiante”(L:Amisano“Candore,Excogita,2004) Per la capacità di
prevedere, preoccuparsi, trovare soluzioni grazie all’insula e alla corteccia
prefrontale (che integra le percezioni sensoriali), nonché all’amigdala (che
opera una lettura affettiva degli eventi). Certo il quadro di riferimento, la
società, non solo continua a cambiare, ma ha dovuto subire improvvisi
cedimenti, fino alla totale caduta di qualsiasi riferimento relativo alla
sicurezza dei “valori” intesi come punti fermi, imprescindibili.La realta’ ed
il futuro lungi dall’elargire promesse,sono vissute come minacce. La sicurezza
emotiva ed economica è stata minata alla base. Il cambiamento è epocale. Si
parla di a-crescita e di decrescita. E’ arrivato forse il tempo della lumaca? Se
cosi fosse,siamo preparati psicologicamente a partire da zero? Avremo la necessaria
forza di sacrificio? Sapremo utilizzare
la mente sentimentale ,internet e amore? La “casa” interna, se prima era
sopraffatta da depressioni e insicurezze, oggi brucia letteralmente, poiché
bruciate sono state le risorse naturali e le risorse intellettuali,
nell’incapacità di gestire, contenere, “vedere” uno sviluppo “sostenibile”.
Sostenibile da chi e per che cosa, sembra essere ora la domanda.
Quali segnali mandano oggi
la terra e la sua popolazione? Quali sintomi sviluppano le persone, figlie di
questo tipo di civiltà? Paura e depressione dicono che sono pochi i segnali di
ripresa della persona e troppe le informazioni: una nebbia psicologica sembra
incombere sul mondo. Ma anche una grande sete di cambiamento :preludio di nuovo
rinascimento culturale e dunque economico.
I conflitti interni, che un
tempo erano (secondo il mito di Platone) il cavallo nero e bianco, governati da
un auriga che rappresentava la padronanza di sé, la forza dell’Ego, si sono
come esternalizzati, con il risultato di avere trincee emotive da mettere
ovunque, dentro e fuori di noi.Dal fantomatico “nasci, produci, crepi” siamo
arrivati al “nasci, consumi, crepi”. Quale sarà la terza strada? Siamo in un
momento in cui le vecchie glaciazioni si sciolgono e arrivano le nuove
desertificazioni.. E’ arrivato il momento del rinascere,nel sentire,nel
pensare,nel costruire, nel creare.. Se non puoi cambiare il vento,aggiusta le
vele.
DA DOVE RIPARTIRE
Ma da quale mare,o male, possiamo ripartire?
Dall’esame dei sintomi che
abbiamo sviluppato finora :dagli errori,che sono occasioni di cambiamento. Dalla….forza
dei sintomi. La crisi e’ antropologica e dunque rimettiamo al centro l’uomo. Partendo
dall’analisi del significato dei sintomi possiamo capire l’humus che li ha
generati: giovani che rifiutano il cibo (forse non solo quello familiare!), che
lo vomitano, che preferiscono ingoiarne di più, ma tossico, e che in questa
maniera ci raccontano tutto il vuoto, la solitudine, la mancata tensione verso
“altro”, la mancanza di limiti e di fermezza di scuola e famiglia. Adolescenti
che si mutilano per sentire di essere vivi, avendo tutto e niente. Che bevono,
che si ammazzano, che stuprano. Che cercano la morte nei rituali di danza
scontrandosi alle quattro di mattina, inconsapevoli di quanto valga la vita. Genitori
incapaci di dare regole, perché sregolati, che maltrattano perché maltrattati,
figli dei loro figli. Città desertificanti, prive di scrupoli nel trattare male
i propri cittadini: il degrado ambientale, la mancanza di rispetto di natura,
cultura e arte, abbassano il limite di sopportazione, degradano moralmente. In
queste perversioni di identità e di appartenenze, sintomatiche di confusione
fra avere ed essere, ove si rimuove di continuo l’angoscia di morte, di perdere
e dunque di cambiare, sta la morte dell’anima. E dunque, la morte della
civiltà. L’autoreferenzialità è diventata un valore a sé stante. Il grande Ego
post-moderno e post-industriale si è schiantato all’inizio del terzo millennio
in una grave crisi: è arrivato il momento del limite?
Al culmine del
tutto-e-subito e dell’onnipotenza produttiva e consumistica si è passati, in
maniera maniaco-depressiva, ad un momento di lutto collettivo, dove solo i
valori dell’anima, dell’affettività e del senso equilibrato di un futuro
economico (che deriva da oikos, casa), sono fonte di riserve, risorse,
speranze. Quod agam?
CHE FARE?
Innanzitutto, impareremo a
riconoscere con quale approccio mentale potremo costruire il futuro della nostra
salute e felicità (cap. 2). La storia del caso di Lucia, affetta da leucemia,
che ha segnato una svolta nel mio personale modo di trattare i pazienti affetti
anche da patologie considerate allora inguaribili, vi darà la possibilità di
capire quanto l’approccio psicologico - sistemico,sia di importanza vitale per
qualsiasi tipo di malattia.” “Crisi”
significa processo. Significa decidere. Significa separazione, mutamento.
Secondo Galeno, se abbiamo
coscienza di un male cominciamo già a guarirne.
Per questo ho deciso di
portarvi attraverso i territori del sapere, per poi introdurvi nell’oscurità di
dinamiche relazionali e generazionali che, assieme ad altri fattori di crisi
(lavoro, economia…) causano la maggior parte dei sintomi (cap. 3). Per poi
virare alla ricerca di parole e colori e….quadri che sblocchino le prigioni
mentali, i pregiudizi, le idee, le relazioni poco soddisfacenti che inibiscono
salute e felicità (cap. 12). Le parole che diciamo a noi stessi modificano la
vita. E siccome le parole sono pietre,modifica la vita modificando il
linguaggio! Cambia approccio ai sintomi,ai mali che ti affliggono,alle cose che
ti stanno attorno. Non dipendere più da
persone che ti fanno del male,magari invidiano anche quel poco che hai,
non ti apprezzano! Cambia,il clima emotivo che ti rende tossico! Con questo
libro,dunque, vi porterò nel labirinto dei processi e delle dinamiche mentali e
generazionali che bloccano persino le speranze di un cambiamento evolutivo
nelle famiglie e nelle aziende (cap.
3-6) ma anche nelle singole persone. Dove a volte i figli servono come ponti
fra genitori in crisi, o addirittura come corridoio di comunicazione fra i loro
conflitti. Schiacciati dal vuoto di aspettative realistiche, o dal peso di
situazioni irrealistiche, dove si trovano a fare i genitori dei loro stessi
genitori. O sono invece troppo serviti da
genitori infantili,che pur di non perderli,perdono la loro faccia e
dignità, in una forma di succubanza psicologica e di di servilismo che non
serve certo a crescere le nuove generazioni, di fronte a queste crisi. Da
queste relazioni disfunzionali di generazioni (ormai quattro!) che si
schiacciano, proiettano profezie infauste,o sono del tutto emotivamente
assenti, mancano di passione contagiosa , nascono e crescono sintomi sempre più
pesanti (cap. 6-11) come l’anoressia, la bulimia, la depressione,
l’internet-dipendenza, la compulsione allo shopping, al sesso eccetera.. Anche
in azienda il peso umorale si fa sentire,deprivando le persone di quel clima
emotivo che le rende piu’ gioiose e
produttive. Non si capisce in questi giochi (gioghi?) chi ha la leadership, chi
“tiene il bastone” e chi viene bastonato. Chi è il maschio e chi la femmina,
nella coppia che sta andando verso un ermafroditismo psichico veramente dannoso
(Jacques Attali, Amori. Storia del rapporto uomo-donna, Fazi 2008).
Nel terzo capitolo, dedicato
alla simbiosi e alla partnership,e alla adultizzazione,(parentification)
parlerò di dove si annida oggi la maggior parte delle crisi e delle patologie
sia nelle famiglie che nelle aziende.
Nella partnership il figlio
diventa inconsciamente un partner a cui tutto viene dato, amato più del partner
stesso. Quando un genitore “sposa” un figlio senza saperlo,e’ perche’ si
innamora di lui, e senza volerlo, lo adora, lo mette sopra ad ogni persona
(overparenting, eccesso di attenzioni), lo riempie di aspettative
irrealistiche, oppure gli fa sentire che senza di lui non può vivere. In realtà
lo incastra, non gli permette di crescere, non gli dà limiti di frustrazione e
dunque senso della realtà. Non lo prepara alle difficoltà della vita. Anche
nelle aziende esiste questo stesso tipo di cecita’ per cui si adora
acriticamente un subalterno,rendendo
geloso il gruppo e improduttiva la rete.Il risultato?Il delfino non sara’
capace di governare la complessita’ degli eventi e per di piu’ si trovera’ in
panne quando non ci sara’ piu’ chi l’aveva acriticamente “appoggiato”. Cosi e’
anche nella politica. Questo tipo di dinamica rappresenta, al momento, un
pericolo grave sia per il genitore, che abdica alla sua funzione, sia per il
figlio, che viene inchiodato, sia per la coppia genitoriale, che si scinde.
Risultato? Il figlio rimane un vecchio bambino incapace di plasticita’ e di
flessibilita’aziendale.
Quindi, attraverso l’esempio
sia di casi clinici che aziendali, entrerete
nel corpo della comunicazione.Avere un pensiero, una mente “circolare”
che attraversa la storia e l’anamnesi delle generazioni corrisponde a quello
che facevano una volta i medici di famiglia. Così importanti perché
conoscevano, appunto, l’origine, la storia complessiva della famiglia: sapevano
collocare il sintomo all’interno di un quadro. Come si vede il cambia-mente, il
cambiare l’ottica del curante o del coach , serve in parte a vedere il paziente
come il sistema aziendale in altro modo,
dunque ad imparare dal sintomo qualcosa che può aiutare ad aggredirlo. Come
nella lotta giapponese.
Un paziente depresso, con
due by pass, mi chiese: ma perché sono ancora al mondo? Non sapeva che di lì a
un anno suo figlio avrebbe avuto così tanto bisogno di lui non solo da
rispondere alla sua domanda, ma da curare, il figlio, la sua stessa angoscia
del vivere,in un gioco di perfetta simmetria. Essere utili,sentirsi utili,
guarisce. Ma quando è necessaria una svolta decisiva per poter cominciare un processo
di cambiamento? Chi deve cambiare? Noi? Il rapporto che abbiamo con noi stessi?
Con il nostro partner? Quello che abbiamo con i nostri genitori? O con i figli?
Per questo, dal 12° capitolo in poi, tagliamo le pieghe di psicopatologia e
dintorni e partiamo alla ricerca di noi stessi, del nostro cervello emotivo ed
“anarchico” (Enzo Soresi, Il cervello anarchico, Utet, 2005) per conoscere il
disegno della vita, il daimon, il talento,il sogno che chiede di essere riconosciuto e
valorizzato, i punti di forza, il valore, il potere contrattuale, il potere evolutivo
che c’è in ogni persona. I sintomi sono la maschera di un potere della persona che viene
negato,poco”remunerato”, non riconosciuto. Finora abbiamo parlato di sfascio e
crisi; d’ora in avanti, grazie anche al cambiamento mentale che mi auguro
avrete operato riguardo a voi stessi, alla famiglia in cui siete nati e alle
sue “proiezioni” e pregiudizi, cambierò anch’io il modo stesso di parlarvi,
adottando tecniche tratte dall’immaginazione attiva, molto care a Carl Gustav
Jung (Simboli, libido e trasformazione). A partire dal 12° capitolo vi chiederò
di che “mito familiare” siete figli, o a quale modello di riferimento vi siete
ispirati per crescere. O di quale segreto inconsapevole siete custodi, senza
saperlo, senza volerlo. Con quale
corredo o bagaglio inconscio siete nati per capire quale destino o destinazione
avete interiormente sposato, quale pre-giudizio è stato proiettato su di voi,
quale voce interiore vi chiama. “Vocazione” deriva da “voce”: quale missione dà
sapore alla vita. Useremo il lato destro del cervello, quello più flessibile e dinamico,
innovativo e giocoso. Chi siete, cosa volete e cosa volete che cambi nella
vostra vita, sia affettiva che di relazione, sia privata che professionale? Vi
chiederete che “prodotto” pensate di essere. Cosa contiene questo prodotto che
si chiama “se stesso”, che cosa vi manca, in quale scaffale ideale di
marketing, o di lavoro della conoscenza, vi mettereste. Ci divertiremo a
conoscere quale peculiarità e quale capacità ci rendono unici al mondo, quali
topics, quali topoi, luoghi vorremmo visitare o abitare in vista della mobilità
del mondo, diventato tutto una cosa sola, quale“topolinità” ci appartenga come
stile: andremo a sfidare il mondo partendo dai resti, da quello che rimane da
questa distruzione. Come si fa oggi con l’arte del riciclo! Ratatouille e Despereux ne sono la moderna fantasiosa metafora. Che cosa
farebbe un topolino come noi se davanti si trovasse un deserto? O restasse
senz’acqua? O trovasse solo briciole di veleno?O restasse intrappolato in
Internet(cap.11)?
Farete insomma esercizi di
ginnastica emozionale per appropriarvi della vostra auto-immagine psicologica e
del potenziale di cambiamento evolutivo insito in ciascuno di voi.In un’epoca
di crisi come questa è il momento di tirar fuori tutto: coraggio, forza di
disperazione, soprattutto fantasia e senso di futuro, cercando di fare tutti
come Ratatouille o Despereux , il topolino saggio che mette in fila i suoi
amici ed il suo coraggio, archetipi e metafore di voglia di fare e di non
rassegnarsi mai. In questa nuova geometria di bisogni (e di desideri),
conoscersi bene serve per sapere con quali strumenti si va all’arrembaggio.
Ma c’è un’ultima evidenza
scientifica, regalataci dalla biologia dello sviluppo. Il medico-etologo
inglese Patrick Bateson, in Progetto per una vita (Dedalo 2002) ha scoperto che
in alcuni organismi viventi, in particolare gli uccelli, esiste il senso del
“dove andare”, dunque della destinazione, del telos. Esiste infatti in natura
la capacità di sondare i venti e portare variazioni fino al raggiungimento
degli obbiettivi. Importante che non ci sia nessun tipo di anarchia che
comprometta l’ equilibrio della natura, previa la mancata sopravvivenza dell’
ecosistema e il suo sviluppo. Nasce dunque la psico-etologia che ci racconta
come i comportamenti degli animali siano in definitiva simili a quelli dell’
uomo . Il sogno e la missione (vision e mission) diventano un tutt’uno. Siamo
dotati come di un piccolo sonar, un’ innato daimon che ci spinge verso
obbiettivi nuovi, verso un’ innata sanità , verso modelli di sviluppo
compatibili. Lo è per gli animali come per gli uomini. In quest’ ultimi sono
necessari sforzi per superare tappe evolutive fondamentali per lo sviluppo
dell’ umanità. Bateson ci incoraggia così a pensare che la bussola e
l’orizzonte sono entrambi dentro di noi. Basta esercitarsi a sentire i segni, i
segnali, che ci vengono dalla voce interiore. Quella che sa prima ancora di
sapere, perché “sente”. La nostra mente sentimentale. Impariamo a riconoscerla!
È quella che siamo abituati a far tacere, a reprimere, a tradire, ostacolando
la vocazione che ci spinge a vivere al massimo delle nostre forze, la
“missione” che dà valore alla vita. Cambiare dentro si può, come
fare ordine nella propria casa, tirando via vecchi pizzi e vecchi vizi,
guardando fuori dalla finestra e dentro di noi,con sguardo diverso e vera
compassione, scelte anticipatorie, regali
di scienza e conoscenza. Cambia vita. Cambia mente. Il futuro deve diventare
uno studio anima-mentedove anima e mente sono una stessa risorsa.