Gli
strumenti di rilevazione dei fenomeni corporei
di Maria Galantucci
Vanno definiti gli strumenti
(psicologici) attraverso i quali possiamo rilevare i fenomeni corporei. Ci si
può riferire a due
concetti - base (empatia e controtransfert) come strumenti
fondamentali di rilevazione psicologica, basati sulla soggettività del
terapeuta (operatore),anche se è necessario precisare l’uso che ne viene fatto
nel contesto di questo lavoro.
Il termine “empatia” fa la
sua comparsa con Novalis nel 1978 per indicare un vissuto fondamentale dei
romantici: il sentirsi da parte dell’uomo all’unisono con la natura, un
tutt’uno con essa e il viverne le forze come se fossero quelle della propria
anima.
Si tratta qui di uno stile
mentale che privilegia il sentire (pathos), si caratterizza per una forte
prevalenza della proiezione e valorizza vissuti fusionali mettendo in secondo piano la separatezza
soggetto/oggetto.
Per Freud il
“controtransfert” è l’effetto dell’ “influenza del malato sui sentimenti
inconsci del medico”; le reazioni controtransferali sono reazioni personali
alla comunicazione affettiva percepita, e derivano dai complessi e dalle
resistenze interne dell’analista.
In maniera antagonista alla
definizione “classica”, il “controtransfert si è progressivamente evoluto in
quella che viene chiamata la concezione “totale”: in questo senso “le reazioni
conscie e inconsce dell’analista alla comunicazione del paziente sarebbero
reazioni sia alla realtà del paziente che al suo transfert, ai suoi bisogni,
sia reali che nevrotici e diventano un vero e proprio strumento di lavoro.
Secondo la Heimann (1950) la
“risposta emotiva dell’analista, rappresenta uno dei più importanti strumenti
del suo lavoro. Ciò che distingue questa relazione dalle altre non è la
presenza dei sentimenti in un partner, il paziente, e l’assenza nell’altro,
l’analista, ma soprattutto, l’intensità dei sentimenti provati e l’uso che ne
fa, giacchè questi fattori sono interdipendenti”.
Occorre all’analista
un’acuta sensibilità emotiva in modo da poter seguire i movimenti affettivi e
le fantasie inconsce del paziente. Questo rapporto profondo affiora nei
sentimenti che l’analista avverte in risposta al paziente, cioè nel suo
“controtransfert”. Questo è il modo più dinamico in cui gli giunge la voce del
suo paziente. L’analista che paragona i suoi sentimenti con le associazioni e
la condotta del paziente possiede uno strumento assai prezioso per verificare
se è riuscito a capire il paziente.
I concetti di “empatia” e
“controtransfert” vengono usati in genere in maniera difforme nella letteratura
psicanalitica. Talora i due concetti vengono concepiti in modo analogo e cioè,
alternativamente una posizione emotiva e, un metodo conoscitivo; altre volte
però si possono riscontrare differenze notevoli nell’uso dei due concetti.
Berger (1987) chiarisce due
principali distinzioni tra l’empatia e il controtransfert.
La prima distinzione
considera empatia lo stato emotivo vissuto dal terapeuta al contatto con il
paziente come soggetto, mentre il controtransfert riguarderebbe lo stato
emotivo vissuto dall’analista a contatto con l’oggetto del mondo interno del
paziente.
Una riflessione metodologica “comparata” sull’empatia e il
controtransfert viene tentata da Spacal (1989) nella quale viene proposto di
considerare empatia e controtransfert non
tanto come differenti metodi di indagine, quanto come posizioni emotive, cioè
come “elementi conoscibili, o decodificabili, della soggettività”.
Mediante l’introspezione
l’analista può derivare le proprie informazioni sia dal settore
controtransferale dei propri vissuti che da quello empatico. C’è un messaggio
appartenente alla soggettività del paziente che non è formulato ma che vuole
essere percepito e l’analista può percepirlo con il suo atteggiamento empatico.
Questo modo di considerare
l’empatia e il controtransfert ci sembra molto utile per organizzare e ampliare
la portata degli elementi ricavabili dal flusso delle emozioni e degli affetti
del terapeuta nel suo incontro con il paziente.
L’orientamento empatico
della sensibilità del terapeuta si basa su un atteggiamento di recettività
conscia e inconscia nei confronti del mondo del paziente, del suo ambiente
interno/esterno, dei suoi oggetti/sè, ma tutto ciò come via o mezzo per
sintonizzarsi nella sua stessa lunghezza d’onda affettiva del paziente e
immedesimarsi con l’Io del paziente, con con il soggetto-paziente, rimanendo
contemporaneamente in contatto con la propria dimensione affettiva.
Anche la Alvarez (1993)
differenzia in modo simile empatia e controtransfert : nella “percezione
empatica” il paziente, attraverso la postura corporea, l’espressione mimica e
altri elementi, trasmette qualcosa del suo stato interno al terapeuta; nel
controtransfert, il paziente non è a conoscenza del suo stato interno e non lo
lascia trasparire all’esterno, se non per “rovesciarlo fuori”.
L’attivazione della
sensibilità empatica del terapeuta offre la possibilità di rilevare, osservare
e comprendere i fenomeni corporei.
Costa (1990) descrive in
maniera molto vivida l’organizzarsi in senso empatico degli effetti del
terapeuta nel corso del primo incontro : l’empatia ha una qualità globale e sul
piano conoscitivo prende infatti contatto con le operazioni intuitive che non
sono razionali o discrete bensì appaiono caratterizzate da percorsi inconsci
complessi e non dettagliabili. Il paziente si presenta alla nostra percezione
affettiva come una gestalt globale. La sua comunicazione affettiva prende la
via del racconto e del contenuto, ma il nostro canale percettivo è aperto alla
ricezione di elementi stilistici, alla percezione emotiva della voce, della
modulazione sintattica, dei silenzi, che saranno riempiti da gestalt posturali
e motorie, dai prodotti tangibili dell’affettività espressiva (un sorriso, un
aggrottamento, un atteggiamento fisico rilassato o teso). La nostra risposta è
canalizzata “su regioni compresenti del nostro Sè”, sintonizzata sui registri
ineffabili della nostra parola-emozione oltre che del discorso, o della nostra
cenestesi globale, delle nostre posture microscopiche, della nostra
visceralità...
In sintesi vediamo come la sensibilità empatica orientata sui
fenomeni corporei costituisca quella condizione facilitante di una certa osmosi
(emotivo-affettiva, ideativa, linguistica) tra
i due membri della coppia terapeutica, osmosi che può essere funzionale
alla costituzione e al consolidamento di un assetto di lavoro.
La disponibilità all’ascolto
dei messaggi provenienti da qualsiasi parte e da qualsiasi livello consente -
anche in assenza di emozioni e affetti - di cogliere anche le proprie
sensazioni corporee, di accettarle come un dato essenziale e ineludibile del
contesto, discriminarle ed eventualmente ricollegarle all’insieme o al momento
dell’esperienza con quel paziente o anche considerarle indicative del suo
difetto o arresto evolutivo.
L’attenzione al registro
corporeo della propria esistenza, alla fisicità della propria interazione col
paziente e ai fenomeni corporei che costellano l’evoluzione della relazione
terapeutica, comporta sul versante del terapeuta lo sviluppo di una particolare
sensibilità nei confronti dello stile comunicativo dei propri interventi.
In tal senso contribuisce
alla formazione dell’insight non soltanto le interpretazioni, bensì anche
interventi non interpretativi, variamente denominati, e per lo più poco valorizzati come le “preparazioni”
(Loewenstein, 1951), le “confrontazioni” (Devereux, 1951), le “chiarificazioni”
(Bibring, 1954).
Langs (1973-74) propone una
classificazione completa degli interventi del terapeuta: silenzio, domanda e
chiarimenti, confrontazioni, interpretazioni, ricostruzioni e interventi di
appoggio. Secondo questo autore le confrontazioni sono degli interventi basati
sul contenuto manifesto del materiale, coi quali il terapeuta richiama
l’attenzione del paziente su di un comportamento o un pensiero evidenti a entrambi;
si differenzierebbero dalle interpretazioni in quanto farebbero cadere
maggiormente l’accento sulla superficie del materiale psichico e si
ricollegherebbero più strettamente ai conflitti reali.
Al fine di prendere in
considerazione le diversità del campo emotivo che si stabilisce a seconda dei
vari interventi del terapeuta, può essere utile ricordare l’uso delle
“chiarificazioni” così come illustrato da Greenson (1967) dal punto di vista
della tecnica di chiarificazione delle resistenze :
“Il paziente che resiste
cerca di evitare emozioni penose, come l’angoscia, la colpevolezza, la
vergogna, la depressione, o un loro miscuglio. Qualche volta, nonostante la
resistenza, l’affetto penoso è penoso perchè il paziente si comporta nella
maniera caratteristica di quel particolare affetto. Ad esempio un paziente che
parli a fatica, con frasi fatte, o divaghi attorno a banalità, può tradire il
suo senso di vergogna arrossendo o coprendosi il viso con le mani, o voltando
il capo per non farsi vedere, nascondendo la zona dei genitali con le mani o
accavallando tutt’a un tratto le gambe. Comportamenti che tendono a nascondersi
indicano vergogna. Tremori, sudore, sensazione di avere la gola secca, tensione
muscolare, brividi o rigidità possono essere segni di paura. Un paziente che
parla lentamente, con voce triste, la mascella contratta, sospirando,
fermandosi, deglutendo con fatica, con con i pugni stretti, può tradire la
lotta contro il pianto e la depressione. In tutti questi casi si cerca di
cogliere le reazioni fisiche, non verbali, in quanto ci possono offrire qualche
indizio sul particolare affetto penoso contro il quale il paziente lotta”.
Greenson sottolinea alcuni
aspetti rilevanti della tecnica : il
linguaggio deve essere chiaro, concreto e schietto; le parole non devono poter
essere fraintese, quindi nè vaghe nè generiche. Il termine usato per descrivere
l’affetto contro cui il paziente potrebbe essere alle prese, non deve essere
adultomorfo, bensì potenzialmente
evocativo di esperienze infantili. Inoltre la parola deve essere
appropriata al momento, quantitativamente, qualitativamente e per il tono di
voce.
Qui gli aspetti corporei del
paziente vengono valorizzati come indizi utili al fine di smantellare le
resistenze del paziente da parte di un terapeuta che assume un atteggiamento
definito ad esempio da Schafer come “belligerante”, proteso cioè a superare le
trincee difensive del paziente.
In antitesi a tale
atteggiamento è stato descritto un atteggiamento empatico caratterizzato
principalmente dalla ricerca della risonanza emotiva e della sintonizzazione
affettiva. Può trattarsi però di una contrapposizione artificiosa in quanto per
lo più accade, inevitabilmente e talora inconsapevolmente, di dover percorrere
con lo stesso paziente questo passaggio dalla
“belligeranza” all’empatia.
L’attenzione agli
atteggiamenti corporei sia del terapeuta che del paziente e l’accorgersi di
assumere le stesse identiche posture del paziente, portano il terapeuta a
pensare di essere sul punto di mettere in atto una sorta di istintiva
imitazione del paziente, una spontanea duplicazione al proprio interno, un
collocarsi nei panni dell’interlocutore molto elementare ma sostanziale: tutto questo ha a che fare con l’empatia,
quasi un inseguimento empatico.
Buie (1981) sottolinea come
l’empatia sia fondata su fenomeni di percezione ordinati che determinano
inferenze sullo stato mentale dell’altra persona: si tratterebbe quindi di un
processo di “risonanza” basato sulla capacità di dare risposte automaticamente
imitative. Anche per Basch (1983) l’empatia è basata su fenomeni di percezione
e risonanza: un segnale affettivo provoca nell’osservatore un’imitazione
automatica, quasi impercettibile, dei movimenti e delle posture di chi lo
invia.
Vi sono tuttavia pazienti
handicappati “nel rappresentare mentalmente quanto accade nella loro realtà
psichica e nella loro vita emozionale: una evidente incapacità di sognare, un
blocco nel seguire le tracce della vita fantastica, l’espressione del conflitto
attraverso l’azione piuttosto che attraverso l’elaborazione mentale” (Mc Dougall, 1992).
Il compito del terapeuta
diviene quello di prestare ascolto ai terrori anonimi che stanno dietro le
associazioni analitiche, aiutare cioè il paziente a trovare il coraggio di
ascolare i propri sentimenti, sostenere le angoscie schiaccianti, immaginare le
fantasie che si possono accompagnare a certe emozioni e infine dare un nome a
ciò che di terrificante è senza nome. Questi interventi li possiamo definire di
“nominazione”.
In alcuni casi gli eventi corporei
possono prendere il posto delle interpretazioni. La verbalizzazione diventa
quindi il secondo stadio di un processo costituito di due stadi, entrambi
necessari perchè si possa giungere a una vera introspezione, ma di cui il
secondo è efficace in quanto è il risultato del primo, cioè dell’evento
corporeo.
Va anche sottolineato che -
nella prospettiva relazionale - può talora essere più importante rispetto al
contenuto delle interpretazioni, quel tanto di inevitabile e parziale acting
out del controtansfert che si esprime nella forma (emotivo-affettiva) con cui
le interpretazioni vengono date: infatti sarebbe questo elemento
metacomunicativo che “permette al paziente di capire che il terapeuta viene
toccato da ciò che è stato proiettato, che sta lottando per tollerarlo e per
mantenere la propria prospettiva analitica senza compiere grossolani acting
out” (Steward 1992).
Alla luce di quanto esposto
finora, acquistano importanza non secondaria anche tutta una serie di
interventi del terapeuta diversi dalle interpretazioni : interventi di
chiarificazione, di confrontazione, di “nominazione” di stati d’animo, di
descrizione di elementi sensoriali, emotivi, affettivi, che spesso -
particolarmente con i pazienti borderline e psicotici - costituiscono una rete
comunicativa indispensabile per l’evolvere della relazione terapeutica.
Abbiamo visto come
all’affinamento e all’ampliamento della gamma degli stili comunicativi a
disposizione del terapeuta nel suo rapporto con il paziente possa portare un
notevole contributo l’ingresso nel campo percettivo del terapeuta della
presenza sensibile del corpo del paziente e del terapeuta stesso. E’ infatti
attraverso la mediazione di tale presenza corporea che le emozioni possono
essere vissute, comprese e riferite a determinati processi ideativi e il
paziente può essere raggiunto con delle parole vive, che non lo lascino
indifferente, ma che lo aiutino a procedere sulla strada della maturazione
personale e a prendere veramente contatto con se stesso e con l’altro.
L'intervento
psicocorporeo tra imprinting e crescita
di Sandra Pierpaoli
La famiglia è il luogo dove
si costruiscono relazioni significative intese
come legame di attaccamento e quindi come base fondamentale nella
costituzione dell’individualità e nell’evolversi della storia personale. Essa è
quindi uno spazio interpersonale vivo e dinamico in continuo cambiamento e
quindi un potenziale spazio di crescita.
Ogni relazione familiare si
muove tra aspetti stabili e aspetti dinamici, tra ciò che possiamo chiamare in
altre parole imprinting e crescita.
L’imprinting è una forma di
apprendimento di base, che si verifica in un periodo della vita detto “periodo
critico”, nel quale si è particolarmente predisposti a quel tipo di
apprendimento.
Tradotto dall’inglese significa
“prendere forma” e per estensione “educazione, formazione originaria”
La famiglia è prima di tutto
il luogo dove si ricevono gli imprinting fondanti della personalità, che
porteranno a fare scelte, tessere relazioni, costruire nuove famiglie, sulla
base delle esperienze biologiche, emotive ed affettive che si sono sperimentate
specialmente nei primi tre anni di vita, a partire dal momento del concepimento
fino ad arrivare alla fase verbale attiva.
La caratteristica principale
di questo periodo è che l’essere umano non sarà mai altrettanto vulnerabile e
ricettivo ai fattori ambientali. L’architettura del sistema nervoso si crea in
questa fase ed è quindi in essa racchiuso il segreto del futuro potenziale di
sviluppo e di crescita.
All’interno di questo
periodo assume particolare rilevanza l’imprinting della madre al momento della
nascita.
Si tratta di un processo
biologico fondamentale, regolato da un equilibrio ormonale delicatissimo che
permette l’istaurarsi di una relazione ottimale in cui il bambino esprime i
suoi bisogni e la mamma risponde prontamente.
In particolare secondo lo
psicologo svizzero Willi Maurer l’imprinting è l’impronta determinata dal
contatto multidimensionale che avviene tra madre e bambino al momento della
nascita. Quando questa esperienza non viene alterata da fattori esterni, si
attiva un senso di appartenenza reciproca e un appropriato comportamento
istintivo.
Il mancato imprinting è
perciò secondo l’autore la mancanza delle condizioni previste, sia al livello
ormonale che nella qualità relazionale. Un buon imprinting comprende viceversa
il contatto mutidimensionale, il riconoscimento reciproco e l’appartenenza.
Al primo imprinting tra
madre e bambino seguono gli imprinting che si ricevono da entrambi i genitori e
che sono fondanti per lo sviluppo individuale successivo, in primo luogo nei
primi tre anni di vita, e poi successivamente nell’infanzia e nell’adolescenza,
che si riferiscono al modo in cui le figure genitoriali rispondono ai vari
bisogni che si succedono nella crescita dei figli: il bisogno di attaccamento,
il bisogno di accettazione, il bisogno di sperimentazione, il bisogno di
incoraggiamento, il bisogno di comunicazione.
Gli imprinting provengono
dall’ambiente socio-educativo, dal vissuto emozionale, dai messaggi permissivi
o di divieto dei genitori.
La tipologia e la qualità
degli imprinting ricevuti sono perciò determinanti non solo per la costituzione
della personalità, ma anche per la regolazione dei rapporti interpersonali.
Gli imprinting rappresentano
gli elementi stabili di come una persona si pone in relazione. Insieme
all’aspetto nutritivo e portatore di sicurezza che si è ricevuto dalla madre e
da entrambi i genitori, gli imprinting possono presentare aspetti di mancanza o
di eccesso in una o più fasi della crescita, andando a determinare aspetti
critici e di sofferenza sia sul piano individuale che nel rapporto
interpersonale.
Nell’ Analisi Bioenergetica
classica di A. Lowen gli imprinting negativi ricevuti corrispondono alla
formazione di una corazza caratteriale, che si struttura specularmente nel
corpo sotto forma di tensioni muscolari e nella psiche sotto forma di specifici
aspetti della personalità. Le tensioni muscolari rappresentano “fissazioni”
inconsce di forze energetiche in conflitto tra loro, che si stabilizzano nel
bambino in una o più fasi della sua crescita.
Nell’evoluzione più attuale
dell’Analisi Bioenergetica è il tipo di legame di attaccamento che si crea tra
la mamma e il bambino a rappresentare l’imprinting più significativo nella
storia evolutiva.
Gli imprinting ricevuti, se
pure stabili, non sono tuttavia immutabili e definitivi, ma possono diventare
occasioni di crescita e di superamento, laddove le impronte familiari hanno
lasciato ferite, disagi, mancanze, a volte traumi, che inevitabilmente si
ripercuotono sulle relazioni attuali con il proprio partner o con i propri
figli.
Le relazioni attuali si
possono leggere come occasioni per mettere a fuoco, assumere consapevolezza e
modificare gli aspetti emotivi e relazionali irrisolti. Il rapporto con la
nuova famiglia che si è creata, è perciò una preziosa opportunità per
sperimentare l’aspetto dinamico dell’imprinting, quello che spinge al
cambiamento e alla crescita.
Se spostiamo l’attenzione
dalla crescita individuale all’intero gruppo familiare, ritroviamo la stessa
polarità tra imprinting e crescita.
La sopravvivenza del sistema
familiare è l’esito di due processi intrecciati: il processo morfostatico e il
processo morfogenetico.
Il processo morfostatico
riguarda il modo in cui il gruppo familiare riesce a mantenere una continuità
con se stesso, il processo morfogenetico come riesce a cambiare rispetto alle
sollecitazioni che vengono dai suoi rapporti con un ambiente, interno o esterno
che sia.
I processi morfogenetici
regolano il cambiamento, i processi morfostatici conservano stabile l’assetto
familiare.
Ogni sistema familiare
sviluppa uno stile di funzionamento che riguarda la modalità con cui coniuga
cambiamento e stabilità, ogni famiglia esprime una diversa combinazione di
stabilità e cambiamento che la definisce nella sua specificità e singolarità.
Queste modalità riguardano
il modo di reagire e di regolarsi rispetto ad eventi critici prevedibili, cioè
i cambiamenti che fanno parte del ciclo di vita di ogni organizzazione
familiare, come la nascita, l’affiliazione o il lutto, e gli eventi critici
imprevedibili, che riguardano i cambiamenti repentini o interni alla famiglia,
come la perdita improvvisa di un membro familiare, o esterni, come crisi
economiche, calamità..
E’ il valore simbolico
attribuito dalle famiglie alla stabilità e al cambiamento che concorre a
definire il grado di adeguatezza dello stile di funzionamento familiare.
Sia sul piano
dell’equilibrio individuale che di quello interpersonale e del gruppo
familiare, l’indice di salute psicologica è perciò dato dalla capacità di
flessibilità tra aspetti stabili e aspetti dinamici, tra acquisizione e
cambiamento, tra imprinting e crescita.
In questa ricerca di
flessibilità non sempre facile, si colloca la funzione dello psicologo e dello
psicoterapeuta, che consiste nell’aiutare a riequilibrare e a regolare sia al
livello individuale, che al livello relazionale interno ed esterno al sistema
familiare, gli aspetti statici con gli aspetti dinamici.
Gli aspetti statici,
infatti, se si irrigidiscono e si cristallizzano impediscono l’evoluzione e la
crescita, gli aspetti dinamici se non sono sostenuti da radici forti portano
alla dispersione e alla mancanza di una base sicura.
In particolare lo psicologo
e lo psicoterapeuta a orientamento
psicocorporeo, si rivolge all’interezza della persona, cioè sia al suo
aspetto psichico che al suo aspetto corporeo.
L’imprinting, in particolare
quello che riguarda i primi anni di vita, ma anche tutti gli imprinting
successivi, passa specialmente attraverso un canale non verbale, lasciando
tracce profonde nel corpo, nella memoria procedurale, ad un livello del tutto
inconscio ed inconsapevole, e va a costituire una struttura non solo
psicologica, ma anche somatica, attraverso una specifica postura, blocchi e
tensioni al livello muscolare, per quanto riguarda il singolo individuo e
attraverso stili di comunicazione non verbale per quanto riguarda le relazioni
interpersonali.
Lo psicologo- psicoterapeuta
a mediazione corporea opera quindi anche su questo piano, andando ad incidere
sull’aspetto preverbale, non verbale e psicosomatico.
La
musica, strumento di coesione sociale
di Stefano Centonze
I primi studi sulle risposte
emotive alla musica risalgono al 1936, quando la psicologa e musicologa Kate Heiner
dimostrò che vi sono due elementi essenziali che il nostro cervello utilizza
per elaborare una risposta emozionale alla musica: il Modo, cioè la tonalità
(Maggiore/Minore), e il Tempo, cioè la velocità di esecuzione (Veloce/Lento).
A partire dagli anni
cinquanta, diversi psicologi hanno cercato di spiegare il potere della musica
confrontando l’apprezzamento musicale con il linguaggio. Oggi sappiamo che la
corteccia emotiva del cervello, un’area dedicata all’ascolto, elabora elementi
musicali elementari come l’altezza (la frequenza di una nota) e il volume;
mentre le vicine aree uditive secondarie gestiscono modelli musicali più
complessi, come l’armonia e il ritmo.
Nuove ricerche spiegano il
potere della musica sulle emozioni umane e i vantaggi che può portare al nostro
benessere mentale e fisico. La musica ci consola quando siamo tristi, ci
stimola nei momenti felici e ci fa sentire uniti…Non solo, poiché la musica è
la forma più diretta di comunicazione emotiva, importante quanto il linguaggio
e la gestualità è in grado di rinsaldare i legami su cui si basano le società
umane: dalle etnie del Burundi agli Indigeni del Cile, dai berberi del Marocco
agli aborigeni australiani, la musica è un tratto comune a tutti i popoli della
Terra.
I ritmi musicali, insomma,
hanno il potere di facilitare interazioni fisiche di gruppo come la marcia o la
danza, rafforzando ulteriormente i legami sociali, per riprendere le parole di
Karen Schrock, autrice dell’articolo Emozioni in Musica comparso nel n. 60 di
Dicembre 2009 del mensile di psicologia e neuroscienze Mente & Cervello.
Uno dei benefici che può
apportare la musica alla nostra persona è quello di stimolare, fortificare e
controllare il nostro stato di salute e benessere, dal momento che la musica è
in grado di influenzare il nostro umore e persino la fisiologia umana in modo
più efficace delle parole.
Non possiamo ignorare che la
musica è un linguaggio universale: il contenuto emotivo di un brano musicale
raggiunge gli ascoltatori a prescindere dalla cultura di appartenenza.
Diverse ricerche indicano
che la musica trasmette in modo efficace e preciso l’emozione desiderata a
tutte le persone che la ascoltano. La Schrock aggiunge che alla fine degli anni
novanta il gruppo della neuroscienziata Isabelle Peretz all’Università di
Montreal ha scoperto che gli occidentali rispondono in modo unanimemente
concorde quando si chiede loro se una canzone che usa elementi tonali
occidentali suscita allegria, tristezza, paura o serenità. E’ stato dimostrato
attraverso ampi studi che la capacità di una canzone di suscitare una
particolare emozione non dipenda necessariamente dal background culturale.
La musica è in grado di
comunicare efficacemente le emozioni persino a persone la cui capacità di
cogliere segnali sociali emotivamente significativi, come le espressioni del
viso o il tono della voce è gravemente compromessa. La musica potrebbe
costituire una forma di comunicazione unica. La musica favorisce la coesione
sociale creando connessioni empatiche tra i membri di un gruppo.
Nella maggior parte delle
culture, la musica è quasi sempre un evento collettivo, funge da legame corale:
la gente si riunisce per cantare, ballare e suonare. Gli scienziati oggi
sostengono che la musica porta vantaggi anche a livello individuale. La musica
produce effetti fisiologici che possono migliorare il nostro benessere mentale
e fisico. Gli studi mostrano che una musica in levare, carica di tensione o
stimolante, è in grado di eccitare fisicamente l’ascoltatore, innescando una
reazione fisica di tipo “fight” or “flight” (lotta o fuggi): i battiti del
cuore e la respirazione accelerano, in alcuni casi si ha sudorazione, e
l’adrenalina entra nel circolo sanguigno. La musica, ad esempio, è un ottimo
stimolante per chi fa ginnastica perché prepara i sistemi fisiologici che
servono per i movimenti che richiedono molta energia. Ma la musica non solo ha
effetti stimolanti, può avere anche effetti calmanti perché, secondo diversi
studi, riduce i livelli del cortisolo, l’ormone dello stress, nel sangue, abbassa
il battito cardiaco, rallenta la respirazione e allevia il dolore.
Ma soprattutto la musica è
curativa: è sorprendente come la musica riesca ad alterare i nostri stati
d’animo o ad alleviare il dolore fisico, in questo caso comportandosi da vero e
proprio “analgesico” durante un parto o una procedura medica per ridurre la
sofferenza fisica.
Studi clinici hanno
dimostrato che la musica è uno strumento potente per rilassare i pazienti che
devono sottoporsi a un intervento chirurgico, in grado di controllare il dolore
e di migliorare problemi comportamentali nei bambini e nelle persone affette da
demenza.
Possiamo sempre usare il
canto per rallegrarci o per tranquillizzarci, per alleviare il dolore e
l’ansia, per rafforzare i nostri legami con gli altri o semplicemente far
commuovere qualcuno. La musica è il modo più diretto e misterioso di
trasmettere ed evocare il sentimento. E’ un modo per collegare la nostra
coscienza a quella di un altro. Mentre fanno musica, le persone comunicano e
collaborano reciprocamente. In un certo senso, praticano attività e funzioni sociali e questo comportamento
sociale è estremamente importante per la specie umana.
I
benefici di una vita di gruppo
di Maria Novella Colluto
Per lungo tempo i
ricercatori hanno ritenuto che appartenere a troppi gruppi non fosse positivo,
in quanto sostenevano che, più sono i gruppi a cui apparteniamo, tanto più
siamo occupati e stressati. Studi recenti, tuttavia, suggeriscono che ciò che
conta non è tanto il numero dei gruppi sociali, quanto le relazioni che
sussistono tra loro.
Uno studio condotto su 655
pazienti colpiti da ictus e pubblicato nel 2005 da Bernadette Boden-Albala,
docente di scienze sociomediche e neurologia alla Columbia Universitiy ha
dimostrato che appartenere a molti gruppi diversi fa bene alla salute, sia del
corpo sia della mente, secondo quanto è riportato in Cura sociale, l’articolo
redatto da un’equipe di psicologi americani, Jolanda Jetten, Catherine Haslam,
S. Alexander Haslam e Nyla R. Branscombe e apparso nel n. 60 di Dicembre 2009
del mensile di psicologia e neuroscienze
Mente & Cervello.
E’ importante considerare
che l’isolamento sociale è nocivo quasi quanto il fumo, l’ipertensione,
l’obesità. E’ stato, inoltre, riscontrato, mediante questo studio, che i
pazienti che erano socialmente isolati
erano posti a maggiori probabilità di avere un altro ictus entro cinque anni
rispetto ai malati con relazioni sociali significative. Allo stesso modo, in
uno studio condotto nel 2009 dagli epidemiologi Karen Ertel, Maria Glymour e
Lisa Berkman della Harvard School of Public Health hanno preso in esame un
numero di anziani pari a 16.638 per un periodo di sei anni e hanno riscontrato
una perdita di memoria significativamente inferiore in coloro che erano
socialmente più integrati e attivi.Appartenere a diversi gruppi permette anche
di cautelarsi da eventuali cambiamenti improvvisi, e magari non volontari,
dello stile di vita, perché perdere un contesto di riferimento non comporta, in
questo caso, la perdita della propria identità sociale.Pensiamo a un maratoneta
che subisce una lesione che gli impedisce di continuare a correre. Chiunque
potrebbe sentirsi devastato dopo un fatto del genere, ma la situazione è più
delicata se si tratta di una persona che si autodefinisce esclusivamente come
corridore. Per esempio, se una persona perde il lavoro, è probabile che perda anche una rete di
colleghi che negli anni sono stati importanti per lei, e questo tende a
comprometterne il suo benessere e il suo equilibrio. Ma se la stessa persona fa
parte anche di un club sportivo locale o fa volontariato in parrocchia, o
frequenta una scuola di ballo, la conservazione di queste identità
probabilmente la aiuterà a superare la transizione. Pertanto è fondamentale
orientare i nostri interessi in più campi ed evitare di puntare tutte le
proprie identità sociali su un’unica carta, nel caso si venga colpiti dalla
malasorte. Appartenere a più gruppi permette anche di integrarsi meglio e in
tempi brevi a un nuovo ambiente, come quello universitario, senza andare
incontro a stati depressivi o stress, così come è stato dimostrato da un
recente studio condotto da Jetten e S.A. Haslam e pubblicato sul “British
Journal of Social Psychology” dove alcune matricole universitarie sono state
sottoposte a un monitoraggio per un periodo di 4 mesi, a partire da due mesi
prima che si iscrivessero e fino a due mesi dopo l’iscrizione. La questione in
gioco era riuscire a capire quali soggetti sarebbero stati più capaci di
adeguarsi alla loro nuova identità di studenti universitari. E, infatti, coloro
che avevano fatto parte di più gruppi in passato presentavano livelli inferiori
di depressione, anche dopo aver considerato altri fattori che avrebbero potuto
influenzare questa transizione, tra cui l’incertezza sul percorso da seguire,
la disponibilità di sostegno sociale e gli ostacoli accademici.
Il gruppo non sempre può
risultare vantaggioso, inizia a diventare una minaccia qualora sia
caratterizzato da una forte conflittualità interna, tuttavia rafforza il senso
di identità. Sembra strano, ma si è scoperto che il fallimento di gruppo produce uno di questi due esiti: o le
persone ne prendono le distanze e riferiscono di sentire un minor senso di
identificazione, o, il più delle volte, il loro senso di appartenenza si
rafforza e provano una maggiore solidarietà di gruppo. Vale lo stesso per i
gruppi soggetti a discriminazione e denigrazione. Anche in questo caso i membri
del gruppo seguono una di queste due strade: o ne prendono le distanze oppure
il loro coinvolgimento aumenta. I gruppi sociali, quindi, possono causare
sofferenza quando sono oggetto di discriminazione, ma possono anche essere un
mezzo efficace con cui affrontare i problemi creati dalla discriminazione
stessa. Ma se la vita sociale incide sul nostro benessere, quanto le reti
sociali virtuali, come Facebook o MySpace incidono sul nostro stato di salute?
Con oltre 300 milioni di utenti di reti sociali come Facebook e MySpace, la
capacità di interagire con gli altri in ogni angolo del pianeta si è espansa
rapidamente, aprendo nuove strade per la costruzione di relazioni di gruppo.
Basta collegarsi per scoprire che cosa stanno facendo i nostri amici, vedere le
loro foto e sapere che cosa stanno pensando, anche se sono dall’altra parte del
globo. Ci si chiede se queste reti sociali virtuali riescano a incidere sul
nostro benessere quanto quelle reali. Le opinioni in merito si dividono, ma
resta il sempre fatto che queste nuove opportunità di socializzazione siano una
ricchezza in più.
In definitiva, la vita di
gruppo e il senso di identità sociale hanno una profonda influenza sul nostro
stato di salute e benessere generale. Siccome noi esseri umani siamo animali
sociali, viviamo e ci siamo evoluti per vivere in gruppo, per noi esseri umani
l’appartenenza al gruppo è una parte imprescindibile di quello che siamo e di
ciò che ci serve per condurre una vita ricca e soddisfacente.Riconoscere
l’importanza dell’identità sociale apre la strada a un nuovo tipo di pensiero
non soltanto in psicologia, ma anche in campo sociologico, economico, medico e
neuroscientifico. Non solo: fornisce anche applicazioni pratiche, perché indica
che i gruppi sono in grado di offrire una terapia sociale. In altri termini,
partecipare alla vita di gruppo può essere un vaccino contro le minacce alla nostra
salute fisica e mentale, più economico e con meno effetti collaterali. E
potrebbe rivelarsi un metodo molto piacevole per tenere il medico lontano.
I gruppi di Lettura: percorsi condivisi di
socializzazione costruttiva
di Francesco Paolo Pizzileo
La Columbia Public Library,
pubblicò nel 1993 un manuale in cui si affermavano le ragioni della nascita dei
Gruppi di Lettura:
1. per fornire una
educazione di base;
2. per superare l’isolamento
di nuovi lettori adulti;
3. per creare comunità di
persone che imparano l’una dall’altra supportandosi a vicenda con le loro nuove
capacità intellettuali acquisite, grazie agli aspetti della socializzazione e
della libroterapia di gruppo.
Negli USA, i Gruppi di
Lettura continuano tuttora a diffondersi talmente tanto da lasciare senza
parole chiunque provi ad approcciarsi al fenomeno.
In Book Discussion Groups,
lo studioso R.Kleim racconta un episodio, curioso e divertente, che fa piena
luce su come, ogni giorno, in molti appartamenti di Manhattan, si svolgano gruppi
informali di lettura molto frequentati: “La mia amica Laura, che vive
nell’Upper West Side di Manhattan, era stata recentemente invitata a
partecipare a un gruppo di lettura. Aveva oltrepassato un po’ di quelle case
tutte uguali dalla facciata in mattoni rossi, sapete, e sebbene si ricordasse
dell’indirizzo preciso, non era altrettanto sicura di quale appartamento fosse,
così schiacciò a caso uno dei pulsanti del citofono. Alla voce che le chiedeva
cosa volesse, disse che era lì per il gruppo di lettura, e così le aprirono il
portone. Quando entrò nell’appartamento, si accorse che la discussione era già
avviata da un pezzo e pensò che forse aveva capito male l’orario dell’incontro.
Non vedeva l’amica che l’aveva invitata, ma le persone erano carine, simpatiche,
e c’erano anche delle cose buone da mangiare. Ci impiegò circa un quarto d’ora
a capire che quello non era il gruppo a cui la sua amica l’aveva invitata, ma
un altro che si era riunito più o meno alla stessa ora, nello stesso
caseggiato! Ciò che l’aveva ingannata era una cosa ancora più pazzesca: quel
gruppo stava discutendo il prossimo libro in calendario del gruppo a cui era
stata invitata!
Restò lì per il resto
dell’incontro e quando se ne andò si chiese se uno potesse andare in ogni
appartamento di New York, dicendo che si è lì per il gruppo di lettura ed
essere accolto senza troppe storie.”
In questo stesso periodo, il
fenomeno si sviluppò profusamente nel mondo latino, basti pensare alla realtà
spagnola.
La differenza tra i due
mondi è lapalissiana: la maggior parte dei Gruppi di Lettura statunitensi sono
privati e si svolgono nelle public libraries, più efficaci per la lettura ed il
prestito dei libri, mentre nel mondo spagnolo sono pubblici e si svolgono nelle
biblioteche, luoghi ideali di incontro e di promozione di manifestazioni
culturali.
Con un forte ritardo
rispetto alla tradizione e alla cultura di matrice anglo-americana e di lingua
spagnola, il fenomeno dei Gruppi di Lettura sta prendendo piede anche nel
nostro Paese.
In particolare si assiste ad
un crescente interesse da parte non solo degli adulti ma anche dei giovani.
Le ragioni, come vedremo di
seguito, sono molteplici: i Gruppi di Lettura assumono una grande importanza
per motivi di tipo personale, sociale, di apprendimento e di benessere. Essi
stimolano la socializzazione, danno la possibilità di scambiare pareri e
opinioni con altri lettori, consentono la condivisione del piacere della
lettura favorendo un auto-apprendimento reciproco, costituiscono un’attività di
alto livello culturale e profondo aiuto sociale.
a) Il ruolo di
socializzazione di un gruppo di lettura
Oggi chi accetta di fare
parte di un Gruppo di Lettura cerca anche la compagnia e la socializzazione in
un ambito intellettualmente stimolante.
I Gruppi di Lettura sono
forme di associazionismo, e come tali sembrano voler realizzare bisogni più
profondi..
I partecipanti diventano più
intimi tra di loro perché, mentre introducono nello spazio pubblico del gruppo
i propri discorsi sulle storie dei libri, spesso non fanno altro che discutere
di temi di interesse personale con gli altri membri ascoltando i punti di vista
dei loro compagni.
S. McCarthy, una
bibliotecaria americana che si è occupata a lungo di Gruppi di Lettura, rileva
che il gruppo di lettura può rappresentare una via di fuga dalle incombenze
familiari e lavorative di ogni giorno, e spesso un luogo dove essere
fisicamente rilassati e poter mettere in campo le proprie idee senza venire
tacciati o derisi.
Il gruppo, così, rappresenta
per molti partecipanti un’alternativa alla solitudine.
Nell’esperienza del Gruppo
di Lettura si possono individuare tre
fattori: le persone, la struttura e la cultura.
Riguardo al primo, la
composizione informale e variegata dei componenti del gruppo consente che in
esso ci sia un’atmosfera favorevole a far sì che i partecipanti siano più
liberi di esprimere e condividere le proprie idee o di obiettare in modo
civile.
Il secondo fattore riguarda
la tipica disposizione fisica del sedersi in circolo, che valorizza lo status
di ogni partecipante, portatore di valori, cultura, punti di vista; il sedersi
in circolo crea un’atmosfera confortevole e rilassata, in cui i lettori si
sentono liberi di condividere idee, sentimenti, e diversi punti di vista sul
libro.
La cultura, infine, è
importante perché i lettori si supportano reciprocamente, imparando l’uno
dall’altro attraverso lo scambio dei propri vissuti e dei propri punti vista
che sottendono sistemi di credenze e valori diversi o condivisi.
Collegando i testi delle
narrazioni con la propria vita, i lettori trovano dei significati per
comprendere la vita stessa e il mondo.
b) Aspetti “terapeutici”del
gruppo di lettura
Per lo studioso americano D.
Carr, quando si legge e si interpreta la lettura, molte volte non si fa altro
che scoprire e palesare la vita che non si è vissuta e le esperienze che non si
sono mai fatte realmente.
Spesso alcuni partecipanti
fermano sulla carta dei propri quaderni le parole, le impressioni e le
esperienze vicarie proprie e quelle dei propri compagni, in una sorta di
diarioterapia.
Sempre secondo Carr,
partecipare ad un Gruppo di Lettura è qualcosa che non appartiene solo alla
lettura di un libro in sé; riguarda sempre i sentimenti che i lettori hanno
dentro di loro mentre leggono il libro: dolori, euforie, sconcerti, piaceri. E
parlare con altri di questi sentimenti e delle esperienze vicarie permette agli
stessi un miglioramento della propria personalità e della propria
consapevolezza sul mondo.
Parlare delle proprie
esperienze di letture con altri aiuta a recuperare o a trovare significati per
la propria esistenza.
In definitiva, ci si sente
supportati dal gruppo.
c) Gruppi di lettura come
forme di auto-educazione
Riguardo all’aspetto
dell’apprendimento, S. Kerka ha definito i Gruppi di Lettura come gruppi di
libera stimolazione intellettuale all’apprendimento. Egli ha analizzato
l’aspetto dell’apprendimento nei gruppi, altri modi di interpretare i testi e
di integrare e comprendere le loro stesse esperienze.
I partecipanti riescono più
facilmente a trascendere i limiti culturali e a vedere le cose come le vedono
le altre persone.
d) I Gruppi diLlettura fanno
bene
Commentare i libri insieme
ad altri è il vero valore aggiunto del Gruppo di Lettura che conferisce ai
partecipanti un senso di appartenenza ad una comunità con un tocco di umanità.
I libri aiutano a guarire, a
crescere sul piano cognitivo, affettivo e sociale.
I Gruppi di Lettura hanno,
perciò, una rilevanza sociale costruttiva: fanno uscire le persone di casa, le
abituano a condividere emozioni, le educano allo scambio rispettoso di idee,
opinioni ed intuizioni su argomenti letti nel libro, diffondono cultura, aprono
le menti.
Sono strumenti di conoscenza
e di sviluppo. Aiutano la persona a sviluppare consapevolezza, abilità
empatiche, capacità critiche e capacità creative. Sono risorse e aiuto per lo
sviluppo ed il benessere delle menti. Promuovono nel tessuto sociale momenti
d’incontro e di socializzazione, generano circoli virtuosi e conoscenza.
Volendo, infine, riassumere
il tutto, diremo che far parte di un Gruppo di Lettura fa bene perchè:
1.leggere interrompe il
ritmo frenetico dell’esistenza che con varia misura caratterizza ogni vita.
2.in un gruppo di lettura
ognuno può uscire dall’anonimo grigiore quotidiano parlando di sé, facendosi
conoscere, in sostanza affermando se stesso, ma con una modalità affatto
diversa rispetto alle altre situazioni di vita: non deve cioè né urlare né
spingere.
3.la lettura condivisa è
un’attività gratificante, soprattutto perché tutti i componenti del gruppo
possono condividere quell’aspetto della lettura per cui il lettore si
identifica con i personaggi del romanzo.
4.leggere insieme vince la
pigrizia, ossia l’impegno, i compiti assunti nei confronti degli altri
necessitano a compiere l’attività della lettura e della riflessione su di essa
che altrimenti verrebbero relegate ad un ipotetico se non irreale tempo libero.
5.l’università come luogo
fisico nel quale si tengono gli incontri rende gli stessi più gradevoli e
accattivanti.
6.la lettura crea altre
realtà che rendono accettabile la realtà che si vive, spesso odiosa, meschina o
semplicemente prosaica: questo leggere per evadere come mezzo per sopportare la
fatica dell’esistenza è uno dei valori condivisi.
7.nel gruppo ognuno sa di
essere ascoltato, ma non esaminato né tanto meno giudicato; ciò determina curiosità e attesa in chi ascolta e
fiducia e sicurezza in chi parla.
Di tutto questo, e di altro
ancora, parlo nel mio Corso on line in “Educazione alla Narrazione di Sè e
Scrittura Diaristica nei contesti del disagio giovanile”
(http://www.erbasacra.com./corsi), un compendio di dieci lezioni destinato ad
educatori, assistenti sociali, psicologi, insegnanti, infermieri pediatrici,
genitori.
Innovativo
Sistema di Riabilitazione Espressiva e Relazionale (R.E.R) con il software
"conTatto"
di Grazia Ragone
La Riabilitazione Espressiva
e Relazionale con conTatto nasce da un'idea di Mousikessere che nel 2008 ha
commissionato la realizzazione del software conTatto al dipartimento ISTI del
CNR di Pisa. Il sistema nato da questa collaborazione, grazie all'esperienza
della Dott.ssa Grazia Ragone con i bambini affetti da Disturbo dello Spettro
autistico, ha permesso la nascita della metodologia R.E.R. che tutt'ora riporta
buoni risultati nel trattamento del disturbo.
Oltre ad interventi di tipo
psicologico, i bambini autistici, avendo bisogni speciali, hanno bisogno di un
consistente trattamento riabilitativo, che permetta l'apprendimento attraverso
modalità alternative. Tra gli interventi più efficaci con questi bambini,
risultano essere quelli di musicoterapia, arteterapia e psicomotricità che
attraverso il gioco stimolano il bambino alla relazione, aprendo canali
alternativi di comunicazione. Purtroppo
l'efficacia di tali interventi resta spesso all'ombra dei trattamenti
medici, testati scientificamente.
A tal proposito è nato il
progetto di Riabilitazione Espressiva e Relazionale con conTatto il quale
risulta innovativo oltre che per l'avanzata tecnologia utilizzata, anche per il
secondo obiettivo che si prefigge: traghettare nel già attuale futuro
tecnologico l'antica forma della “arte di curare” attraverso i suoni e le
immagini.
L'idea progettuale deriva
dall'esperienza dei soci fondatori di Mousikessere s.r.l., costituita da Grazia
Ragone e Raimondo Lenoci, che hanno contribuito notevolmente al finanziamento
economico e umano di tale progetto.
Tale sistema risulta
particolarmente innovativo oltre che per la sua possibilità istantanea di
trasformare il gesto del bambino in suono, anche per la possibilità che offre
di registrare elementi utili alla diagnosi e al monitoraggio dei risultati
raggiunti e perseguibili.
Il progetto conTatto è stato
testato specificamente per bambini con disturbo dello spettro autistico, per i
quali sono ancora poche le certezze, a livello mondiale, rispetto all'efficacia
o meno di strumenti riabilitativi. Sostanziali benefici sono stati riscontrati
nel trattamento attraverso la Musicoterapia e le Artiterapie, che a differenza
di approcci strettamente medici, si avvalgono di una conoscenza più empirica
nel loro campo di applicazione. Mousikessere quindi nasce con l’intento di far confluire nel
mondo della Musicoterapia le esperienze umanistiche e le conoscenze tecnologiche
per un riconoscimento scientifico della disciplina.
L' intervento di conTatto è
assolutamente non invasivo e centrato sul gioco, esso varia a seconda delle
strategie utilizzate e degli obiettivi che si prefiggono.
I Disturbi dello Spettro
Autistico (DSA) sono disturbi neuroevolutivi caratterizzati dalla
compromissione delle capacità di interazione sociale e di comunicazione e dalla presenza di comportamenti, interessi
ed attività ristretti e stereotipati. Essi presentano comportamenti in deficit
nella comunicazione, nella relazione e nell'immaginazione sociale, perciò
Mousikessere ha pensato di unire un determinato approccio Riabilitativo
Espressivo e Relazionale che punta alla modifica e al miglioramento, di ognuna
delle aree maggiormente colpite nel disturbo autistico: la comunicazione, la
relazione e l'immaginazione.
E' ben noto che le persone
con autismo hanno difficoltà nell'apprendimento attraverso l'osservazione e
l'imitazione . Grazie al software
conTatto che è capace di tradurre ogni movimento del bambino in suono, si
favorisce la percezione di sé stesso nell'ambiente attraverso la forza del
suono che va ad incidere sull'area della comunicazione del bambino stimolandolo
ad interagire con il terapeuta nella stanza e intessendo con lui una relazione
terapeutica. Ciò, come riscontrato, porta inevitabilmente all'imitazione in
quanto è il gesto stesso altrui, se fatto in un certo modo, che rinforza e
stimola il bambino all'imitazione. Per lavorare, invece, sull'altra sfera
deficitaria, grazie alla metodologia R.E.R. applicata al sistema conTatto è
possibile incidere positivamente sui comportamenti stereotipati del bambino che
acquisisce maggior controllo dei suoi movimenti, i quali risuonano
empaticamente con le sonorità che emergono.
Inoltre, grazie alla eccezionale bravura degli
ingegneri del dipartimento ISTI del CNR di Pisa è stato possibile realizzare un
software capace anche di registrare i tratti caratterizzanti le movenze di ogni
bambino prima e dopo l'incontro, permettendo poi di analizzare l'accaduto
offline e poter procedere ad un assestamento degli obiettivi.
Alla luce della stretta connessione che
all’interno dell’ambiente si viene a creare tra abilità di interazione e
condivisione sociale e componenti motorie legate alla necessità di modulare e
diversificare il movimento per ottenere i suoni, lo studio si è proposto infine
di verificare l’efficacia abilitativa e riabilitativa di un ciclo di
trattamento effettuato tramite questo sistema.
Lo studio pilota effettuato
con una versione Beta del sistema conTatto, ci ha portato a formulare delle
procedure da seguire nei vari cicli di incontri.
A tal fine è stato considerato un campione
sperimentale composto da 10 bambini, 5 con DSA già in trattamento presso
l'Istituto Superiore di Sanità Stella Maris di Calambrone (Pisa) specializzato
nel trattamento per l’Autismo, e un campione di controllo, appaiato per età,
sesso, diagnosi e tipo di trattamento. Ciò è stato fornito allo scopo di
verificare l’entità degli eventuali miglioramenti ascrivibili all’azione di
conTatto. Lo studio ha fornito
indicazioni positive relativamente alla utilizzabilità del sistema con bambini
in tale età ed alla sua flessibilità ed adattabilità alle caratteristiche di
ciascun bambino.
Le esperienze dei bambini
nell’ambiente conTatto sono risultate in tutti i casi gratificanti e nessuna
reazione avversa è stata osservata. Durante le sedute con conTatto è stato
possibile apprezzare un progressivo aumento di comportamenti di ricerca e di
riferimento sociale nei confronti dell’operatore coinvolto.
Sul piano richiestivo ognuno
ha espresso una precisa volontà nella modulazione e nella scelta del suono. Per
quel che riguarda l'imitazione i bambini hanno imitato in modo differente
(grossolanamente e precisamente) i movimenti richiesti dalla dott.ssa Ragone.
Inoltre sono stati
riscontrati benefici effetti sull'attenzione del bambino e sulla motivazione
che, in ognuno dei casi, ha portato ad esprimersi in maniera appropriata al
contesto.
Dai vissuti dei genitori che
nella maggiorparte dei casi hanno assistito, all'insaputa dei bambini, dietro
lo specchio monodirezionale, è emersa la gioia del bambino e l'espressa volontà
a continuare il “gioco” con conTatto.
Infine, il lavoro con i
bambini su menzionati non ha avuto un prosieguo oltre alle sedute sperimentali,
ciò avrebbe notevolmente contribuito al mantenimento degli obiettivi raggiunti.
Il termine autismo/autistico
che sempre più spesso leggiamo su riviste, spot televisivi e pubblicitari si riferisce ad un disturbo dell'età
evolutiva che va a minare gli elementi più caratteristici dell'essere umano,
cioè il suo essere sociale, empatico e in relazione con l'altro. L'autistico si
caratterizza per il suo essere solipsistico (autòs = sè stesso), cioè rivolto a sè stesso e al
suo mondo, precludendosi la relazione con l'altro e con l'ambiente che lo
circonda. Esso nel linguaggio specialistico rientra nei Disturbi Pervasivi
dello Sviluppo (DPS) e si distingue per la compromissione in tre aree: mancata
e persistente compromissione dell'interazione sociale, mancata e persistente
compromissione della comunicazione verbale e non verbale e infine modalità
comportamentali ripetitive e stereotipate (rif. DSM IV) .
Tra gli studiosi , molti
credono che l’autismo non sia una malattia, ma un disturbo complesso dei
processi cerebrali che vanno ad influire negativamente su vari aspetti
comunicativi e relazionali. Chiunque può
essere colpito da questo disturbo nonostante l'esistenza di studi che
circoscrivono il disturbo a caratteristiche genetiche e sociali . Sembra molto
più alta la percentuale tra i sessi , che vede 4 maschi su una femmina colpiti
dal disturbo. Per la maggior comprensione di tale fenomeno si rimanda allo
studio condotto dagli scienziati dell'Università di Cambridge con supervisore
il Prof. Simon Baron Cohen l'autismo è
stato definito come un disturbo caratterizzato da un “cervello maschile” .
Per un distubo così
complesso come è quello autistico è maggiormente importante un lavoro di
coordinazione e scambio tra i vari professionisti che lavorano nello stesso
settore, neuropsichiatri, psicologi, terapisti della riabilitazione, operatori
socio – assistenziali ecc. permettendo così l'incontro e scambio di più e
differenti punti di vista.
Mousikessere, con i propri mezzi ha mirato
alla ri-unione tra Musica e Medicina , rifacendosi agli antichi insegnamenti,
ma contestualizzandosi nell’attualità, cioè servendosi delle conquiste
innovative e tecnologiche sviluppate in altri ambiti scientifici, dai quali non
si può assolutamente prescindere.
Per il raggiungimento di
tale obiettivo MousikEssere ha ideato un nuovo sistema terapeutico capace di
produrre dati misurabili e ripetibili e successivamente lo ha sperimentato in
laboratorio su un campione di bambini autistici e un gruppo di controllo con
bambini con sviluppo tipico. Il sistema nato da questo processo si chiama
ConTatto (commissionato da MousikEssere al dipartimento ISTI del CNR di Pisa
che lo ha realizzato), e si avvale di una metodologia di utilizzo chiamata
Riabilitazione Espressiva e Relazionale (creata dalla dott.ssa Ragone in
collaborazione con una equipe medica).
La metodolgia di
Riabilitazione Espressiva e Relazionale non si fonda solo su pricipi
musicoterapeutici, nè arteterapeutici o di psicomotricità, bensì, prende spunto
da ognuno di questi approcci, con il valore aggiunto del software conTatto, il
quale permette di tradurre simultaneamente e numericamente il movimento e i
gesti del bambino, in suono. I suoni utilizzati provengono dall'universo sonoro
che vengono selezionati a seconda della tipologia del bambino.
E' risaputo che i bambini,
tra cui in particolar modo anche gli autistici sono profondamente attratti
dalla realtà virtuale (cartoon, video games ecc.). Infatti si diffondono sempre
più giochi basati su elevate tecnologie che hanno raggiunto buoni risultati dal
punto di vista terapeutico (vedi Cospatial, Face etc.) che vedono piccolissime
realtà del nostro Paese collaborare con realtà fuori dal paese.
Grazie all'esperienza
maturata sul campo Mousikessere ha pensato proprio al sistema conTatto come
qualcosa di assolutamente utile ed efficace nell'intervento ludico e
terapeutico con l'autismo.
Il fondamento centrale di
questo sistema terapeutico parte dalla convinzione che qualunque forma di
apprendimento inizi dal corpo, e che anche l'acquisizione del linguaggio abbia
questa matrice. Daltronde il linguaggio avviene in massima parte ( 65% )
attraverso il canale visivo dei gesti ; solo il resto è verbale, tattile e
olfattivo. Il gesto indica la via alla
parola, afferma un antico detto dei Dogon.
Pertanto il punto di inizio
del processo terapeutico che MousikEssere sostiene, è tracciato dal linguaggio
del corpo che si esprime attraverso il gesto e il movimento, i quali, tramite i
suoni che si autoproducono in sintonia con i movimenti, vengono percepiti e
resi più funzionali da parte del bambino. Ciò, inevitabilmente, ci porta a
pensare di poter successivamente lavorare sugli altri linguaggi, compreso
quello verbale.
Considerando i risultati
scientifici ed emotivi, che tale ricerca ha portato, si tratta di
un'innovazione senza precedenti se si considera l'idea di riabilitazione,
attraverso la produzione sonora associata al movimento (creativa e
assolutamente non invasiva), unita alla registrazione e misurazione dei dati,
essenziale per diagnosi e prognosi. Purtroppo in Italia il progetto conTatto
attualmente ha subito un notevole rallentamento a causa della situazione che
diviene sempre più compromessa nel mondo della ricerca. Infatti, nonostante il
successo dell'intervento a favore dei bambini, nessun ente o istituzione si è
proposta di finanziare la ricerca.
Oggi pur continuando
rapporti con l'Italia, il progetto conTatto ha trovato terreno fertile in
Inghilterra dove lo strutturarsi di un percorso continuo, a beneficio dei bambini,
non sembra solo un sogno ma anche realtà.
Crediamo che il progetto sia
di interesse generale, chiunque può provarlo e testarne i benefici su sé
stesso, oltre che particolare per quei bambini autistici che trarrebbero gran
beneficio nel viverlo. Dato che, come
già detto, gran parte del progetto è stato finanziato da due giovani ed
intraprendenti ricercatori e studiosi che ci hanno sempre creduto, trovando
riscontro successivamente nella gioia dei bambini e dei loro genitori come
anche nell'incredulità di esperti nel settore, ci auspicheremmo che ora tale
progetto torni in Italia, nella patria in cui è nato e coloro i quali possono
perchè dotati di superpoteri nel mondo della Sanità e dell'Educazione, diano
una mano a tutto il team procedendo in un'unica direzione che è il bene del
bambino.