SEXUAL ADDICTION: FAME DI SESSO
di Giovanna Tatti
Se ne sente parlare sempre più spesso da quando celebri personaggi dello
spettacolo come Robbie Williams hanno
fatto la loro disclosure. Ma cos'è la
Dipendenza da Sesso o Sex Addiction? stiamo parlando di una vera e propria
malattia o, come sostiene Hugh Hefner, creatore del mondo di Playboy: "È solo
una bufala usata per giustificare il tradimento"?
Se fino a qualche decennio fa si riconoscevano essenzialmente le dipendenze
da sostanze (alcol, droga, farmaci...), negli ultimi decenni si è visto
crescere il numero di sostanze-non sostanze da cui è possibile sviluppare
una dipendenza, il gioco d'azzardo, il cibo, la dipendenza da
internet e anche la dipendenza da sesso. Si parla di dipendenza quando
la relazione di una persona con il suo ambiente (sfera personale, amicale,
affettiva, amorosa e lavorativa) è fortemente caratterizzata da
determinate idee e comportamenti, che risultano incontrollabili per il
soggetto. Il National Council of Sexual Addiction definisce la dipendenza
da sesso come una “persistente e crescente modalità di comportamento sessuale,
messo in atto nonostante il manifestarsi di conseguenze negative, per sé e per
gli altri” .
Proviamo a capire meglio. Sebbene sia una nuova dipendenza più di
cento anni fa Krafft-Ebing (1886) descrisse una condizione nella quale
“l’appetito sessuale è intensificato in misura abnorme al punto da permeare
tutti i pensieri e i sentimenti (dell’individuo) e da non consentire altri
scopi nella vita…”. Questa condizione è stata di volta in volta considerata
come un disturbo ossessivo compulsivo, un disturbo del controllo degli impulsi
e un disturbo da dipendenza, senza che questi si escludano a vicenda. Tutti e
tre i tipi di disturbo determinano una spinta ad attuare comportamenti che
portano a esperienze dannose o spiacevoli per l’individuo.
Quali sono i sintomi?
La dipendenza da sesso è una dipendenza che riguarda la persona sia dal
punto di vista fisico, psicologico, relazionale. L'individuo percepisce la sessualità come
elemento focale della sua vita e agisce quindi in risposta ad un impulso
sessuale irrefrenabile, indipendentemente dagli effetti negativi che il suo
comportamento può arrecare a sé e agli altri. La soddisfazione del suo bisogno
che genera l'impulso sessuale procura piacere, o meglio godimento, ma allo
stesso tempo genera disagio, ansia, e un profondo senso di vergogna.
È importante comprendere che la Sexual addiction non è il desiderio
sessuale. Questa dipendenza non si definisce in base al tipo o alla frequenza
di relazioni sessuali, ma è invece, definita come l'uso compulsivo di sesso per
indirizzare bisogni emozionali che non sono sessuali. È questo il punto: la
sexual addiction ha ben poco a che vedere col sesso e molto a che vedere con il
perché si fa sesso.
Si tende a pensare che la persona dipendente dal sesso usi il sesso
come una via di fuga, uno strumento per evitare o gestire lo stress, la fatica
emozionale, la noia o l'ansia e l'importante vergogna e isolamento che derivano
da questo stesso comportamento compulsivo. Il sesso può essere uno strumento
per sentirsi potenti, desiderabili.
È caratterizzata da un aspetto impulsivo e da uno compulsivo.
Tendenzialmente si ritiene che i sintomi della sfera compulsiva abbiano la
funzione di attenuare e gestire un'ansia che altrimenti diverrebbe
soverchiante, mentre quelli impulsivi sono più legati al bisogno di produrre
gratificazione, un godimento che non si associa al piacere.
Inoltre, alcuni studi riportano come durante tali comportamenti compulsivi il
nostro corpo aumenta la produzione e rilascio di beta-endorfine, sostanze
endogene che hanno un effetto simile a quello degli oppiacei.
Il dipendente da sesso si sente intrappolato, prigioniero di una forza
superiore che lo obbliga, lo trascende, da cui non riesce e non può
liberarsi. Questo soggetto non riesce a stabilire una relazione con l'altro,
perché l'altro è per lui l'oggetto attraverso cui raggiungere il
soddisfacimento del godimento e dunque non vi è alcun legame psicologico nella relazione
con l'altro: un soggetto-altro che molto spesso neppure conosce.
La sexual addiction ha spesso un importante impatto sociale. A causa
di questo disturbo il sexual addicted può sconfinare nella relazione con
colleghi di lavoro, amici e partner fino ad avere comportamenti francamente
abusanti. Questo può portare a un maggiore isolamento, allo sviluppo di
patologie dell'area depressiva e talvolta al suicidio. Queste persone sono
consapevoli che arrivano ad avere condotte rischiose, come fare sesso senza
precauzione con prostitute o sconosciuti, mettendo se stessi e il proprio
partner in pericolo di contrarre malattie a trasmissione sessuale. Come
nel caso delle altre dipendenze, la persona affetta da dipendenza da sesso
finirà col sacrificare le relazioni sociali e affettive, il lavoro e la salute
all'altare del dio sesso.
Una recente ricerca, 2004, condotta dall’Associazione Italiana per la
ricerca in Sessuologia (AIRS) su un campione casuale di 1046 soggetti di cui
564 donne e 482 uomini rileva la presenza di comportamenti sessuali dipendenti
mediamente nel 5,75% del campione (con percentuali maggiori negli uomini
piuttosto che nelle donne). La più alta percentuale di rischio di
dipendenza è stata rilevata tra soggetti separati e privi di relazioni
stabili.
Quali sono le cause?
Le cause possono essere molteplici, e uno stretto determinismo non darebbe
giustizia alla complessità dei casi. Tuttavia, alcune ricerche recenti hanno
tratteggiato delle caratteristiche comuni a numerosi pazienti. Alcuni autori
evidenziano tra i fattori evolutivi di particolare importanza le
esperienze sessuali precoci, un’educazione eccessivamente repressiva,
l’esposizione precoce a comportamenti sessuali e/o alla pornografia (anche
attraverso i media) o anche nell'elaborazione di una strategia di coping per
modificare la valenza di vergogna originaria (Johnson, 2002). Questi
comportamenti compulsivi nella sfera sessuale possono legittimamente
simbolizzare il tentativo di una fuga da sé stessi, a causa di sentimenti di
disagio interiore inconscio di cui la persona non riesce ad avere
consapevolezza e che cerca di allontanare da sé, attraverso la continua
esposizione a situazioni eccitanti, che sconvolgono il pensiero e lo spingono
su strade che portano lontano dalla riflessività.
Si può curare?
Occorre anzitutto rendersi conto di avere un problema. In altre
parole, si deve raggiungere la consapevolezza di essere vittima di una
dipendenza, di un comportamento compulsivo, e che i problemi e i disagi, anche
di una notevole entità, sono in parte dovuti a questa
dipendenza.
La corrente di pensiero più diffusa al momento propone un lavoro
terapeutico che preveda due fasi: nella prima fase che potremmo definire di
contenimento del sintomo, prevedere un lavoro di gruppo a indirizzo cognitivo
comportamentale al fine di apprendere strategie di coping e di problem solving.
Imparare a chiedere aiuto nei momenti difficili, gestire le crisi e la
compulsività determina un miglioramento dell’autostima e del senso di
autoefficacia. Ricevere informazioni circa la malattia, prendere consapevolezza
della sintomatologia favorisce il superamento della vergogna e del senso di
colpa, aiuta a uscire fuori dall’isolamento e dal sentimento d’impotenza.
In una seconda fase, è possibile affrontare un lavoro terapeutico di tipo
psicodinamico basato sull’interpretazione e sull’elaborazione di
eventuali irrisolti della vita del paziente. In molti casi la
terapia di tipo cognitivo comportamentale e di tipo psicoanalitico viene
integrata con supporto farmacologico basato su SSRI, antidepressivi inibitori
della ricaptazione della serotonina, ma anche da farmaci antipsicotici (Russo,
2007) e antiepilettici, che coadiuvano nel contenimento iniziale
dell'impulsività del sintomo.
È importante quindi abbattere
il muro della vergogna e rivolgersi a degli specialisti competenti
LA COPPIA E LA NASCITA DI UN FIGLIO
di Maria Galantucci
Per la coppia la nascita di un figlio,
soprattutto se desiderato, è un evento eccezionale, di straordinaria
importanza. Dopo nove mesi di attesa, magari neanche
sereni, arriva il fatidico giorno.
Le dinamiche della coppia cambiano come
cambiano i rapporti tra gli altri componenti della famiglia. Mai come in questo
momento della loro vita una donna e un uomo ripensano ai loro genitori. E in
modo particolare al rapporto con il proprio genitore omologo (dello stesso
sesso).
Il primo proponimento che ci poniamo è quello
di non fare gli stessi errori che pensiamo abbiano fatto i nostri genitori con
noi. Salvo poi smentirci, alle prime difficoltà e capire che non esistono
genitori perfetti; anzi, il ruolo di genitore diventa sempre più difficile,
faticoso e coinvolgente.
Quando la coppia non riesce ad affrontare i
problemi che gli si presentano giorno dopo giorno, entra in crisi: ci si accusa
a vicenda di essere cambiati, di non riconoscersi più, di non aver più tempo
disponibile l’uno per l’altra.
La possibilità che la coppia continui a
funzionare come un insieme in questo periodo non disgregandosi a causa delle
ansie e dei conflitti che all’interno di essa possono manifestarsi, riuscendo
al contrario a contenerli e risolverli, dipende certamente dal livello di
maturità che ciascuno dei partner è riuscito a raggiungere nel corso del suo
sviluppo, dalle circostanze interne ed esterne della vita di coppia.
L’identità personale non è una realtà
statistica ma dinamica. Essa si modifica nel continuo processo evolutivo della
persona e nel rapporto con l’ambiente umano circostante il quale modificandosi
a sua volta incessantemente, induce ognuno a continui adattamenti.
La persona priva di orientamento riesce con
maggiore fatica tener dietro ai cambiamenti e percepisce il rapporto con gli
altri pericoloso.
Accade anche che con l’arrivo del bambino
venga sconvolto soprattutto l’impegno di lavoro dei genitori. Mentre i
cambiamenti interni alla coppia si potrebbero riassorbire facilmente, l’ambiente
dove si lavora comincia a dare segni di insofferenza.
La madre che allatta viene tempestata di
richieste perché smetta e torni al lavoro al più presto, al padre difficilmente
si concedono permessi perché aiuti la moglie. In questo modo la pressione
psicologica sulla coppia raggiunge livelli altissimi, si tratta di una vera e
propria violenza psicologica.
È vero che oggi si tende a valorizzare la
gravidanza, ma sembra che dopo il parto tutto sia finito, ogni problema
risolto. Invece è proprio in quel momento che la donna ha bisogno aiuto, di
essere riconosciuta nel suo valore. Molte, per esempio, combattute tra il
desiderio di restare con il figlio i primi anni di vita e quello di tornare
subito al lavoro, scelgono la seconda soluzione anche quando non esistono
problemi economici. Il motivo è che realisticamente, intuiscono che il loro
valore è stabilito sulla base del lavoro che svolgono. E rinunciare alla
propria occupazione vorrebbe dire ricoprire una posizione di serie B.
Esprimere al compagno queste sensazioni però,
è spesso difficile, e l’immagine che si rimanda è quella di frustrazione,
stanchezza inspiegabile, insoddisfazione che deludono e disorientano l’altro.
Per questo molte neo mamme, dopo il primo periodo trascorso col neonato,
riconoscono che tornare in ufficio è quasi un sollievo: la realtà è che spesso
si è lasciate sole nel difficile compito
di crescere un bambino. Ricadono sulle proprie spalle i problemi organizzativi:
la madre nel pieno della sua depressione dopo il parto, si troverà ancora più
sola, più carica di lavoro e di disperazione, non riuscendo a fare tutto ciò
che vorrebbe e che sarebbe necessario.
Il passaggio da coppia a famiglia seria,
determina cambiamenti davvero radicali: anche l’uomo come la donna, durante il
percorso verso la “genitorialità”, affronta una serie di cambiamenti relativi
al passaggio dalla posizione di figlio e marito a quella di padre.
L’uomo si trova anch’egli in una fase di
sviluppo, a confronto con importanti cambiamenti che gli richiedono la destrutturazione
del suo precedente equilibrio e un lavoro di riadattamento e di
riorganizzazione.
La comprensione e la partecipazione del
marito all’evento, giova allo stato psicologico della donna. Ma altrettanto
importante e determinante è “poter” contare e non solo per un aiuto pratico,
sulle rispettive famiglie d’origine: il punto di riferimento rappresentato dal
rapporto d’amore primario con il genitore del medesimo sesso, permette non solo
di guardare con più tranquillità agli imprevisti di una condizione del tutto
nuova, ma anche di dare le giuste dimensioni a quello che succede.
La possibilità di utilizzare l’appoggio e il
sostegno del partner e la capacità di coinvolgerlo e non escluderlo
dall’esperienza è realizzabile attraverso l’elaborazione dei conflitti e delle
angosce che il passaggio da un rapporto diadico a uno triadico comporta.
Inoltre tali conflitti possono risultare
tanto più intensi quanto più il rapporto di coppia è impostato in modo che uno
dei due partner giochi nei confronti dell’altro/a un ruolo genitoriale
(surrogato del genitore omologo) soddisfacendo o meglio credendo di soddisfare
così desideri simbiotici della partner o del partner.
La nascita di un figlio cambia
improvvisamente la vita personale e quella di coppia: è un momento di grande
smarrimento. Ma sappiamo che alla base dei rapporti primari c’è l’amore
incondizionato e una volta imboccata la strada giusta, che è quella di vedere
confermata la propria identità personale, attraverso il rapporto con il
genitore omologo, è possibile affrontare, non senza difficoltà, tutte le
problematiche riguardanti la vita con i propri figli e non solo con loro.
IL SENSO DI COLPA
di Patrizia Masciari
Per
difenderci da questo nemico invisibile, ma molto più presente e reale di alcune
cose visibili all’occhio umano, dobbiamo imparare a frequentarlo e conoscerlo
attentamente, altrimenti dirigerà la nostra esistenza come se gli avessimo dato
noi le redini della nostra vita.
Senso
di colpa vuol dire concretamente che inconsciamente e profondamente senti e sei
convinto di meritarti una pena, una giusta punizione per ciò che sei o sei
diventato.
Questa
malsana convinzione nutre e alimenta la paura di una punizione che prima o poi arriverà
“giustamente”, e la serie di pensieri funesti che ne consegue, sono flussi
continui di onde neuro elettriche a bassa frequenza: energia, cioè, a tutti gli
effetti, ma non “energia magica” come alcune dottrine raccontano, stiamo
parlando di energia della materia di cui siamo composti e del suo funzionamento
meccanico.
Ciò
fa sì che quello che più temiamo, e che attendiamo in qualche modo, accade
tramite un evento o una situazione particolare che ci porterà a dire: “Ecco, lo
sapevo, come al solito! Sono nato sotto una cattiva stella! La fortuna non è
mia compagna! Sono un fallito e me lo merito!”
L’
Analisi Transazionale spiega bene l’esistenza di questi eventi con il concetto
di “copione”ed Eric Berne, che ne è il fondatore, dà la seguente definizione:
“E’ un piano di vita basato su una decisione presa nell’infanzia, rinforzata
dai genitori, giustificata dagli eventi successivi, e che termina con un’alternativa prescelta dalla persona”.
Quindi,
questo copione che non ci dà scampo, ma che noi stessi abbiamo scelto come
risposta all’ambiente nei primi anni dell’infanzia, si ripete continuamente, e
per alcuni si può ripetere anche per una vita intera fino a quando la persona
non prende consapevolezza del vortice mortale nel quale è imbrigliato e decide
di cambiare. Ma da questo copione, che io chiamo anche “binario neuronale”, il
treno della nostra esistenza, deve necessariamente deragliare per poter avere
una qualità di vita piena e soddisfacente. Il compito dell’arteterapeuta o di un
operatore nella relazione d’aiuto, è quello di rispecchiare e restituire questo copione presentandolo al paziente così da invitarlo a
prendere il “Controllo Adulto” che nasce solo dalla consapevolezza del Sé
profondo. Poi, con opportune tecniche, di fornirgli gli strumenti di esercizio
che lo possano condurre all’autonomia, cioè a liberarsi finalmente del copione
e a sostituirlo con un funzionamento neuronale salutare che gli restituisca una
vita qualitativamente appagante.
Via,
quindi, il regalare le tue migliori
energie al SENSO DI COLPA "manipolatore" della vita e alla
conseguente paura da cui dipendi ossessivamente: spazziamo quel pensiero che ti
fa ritenere continuamente vittima di un mondo
che agisce come un tiranno e che spesso non punisce i cattivi e non
premia i giusti. Questo è un modo/retaggio infantile di approcciarsi alla vita
ed è anche altamente pericoloso e
deresponsabilizzante così come l’
attitudine a lamentarsi sempre degli altri e di ciò che ci circonda.
Il
mondo va a rotoli, non ci sono più valori, non ti puoi fidare di nessuno … ecco
le frasi più ricorrenti su questi nostri tempi, ma ognuno vede il mondo attraverso
l'idea che ha di se stesso e rimanendo nel copione di vittima, non farà altro
che perpetuare questa pseudo realtà che contempla distorta. Le azioni che si compiono sotto questo modo di
percepire l’interno e l’esterno a noi, non sono vere azioni quanto RE-azioni
automatiche dipendenti dalla paura e dal giudizio.
La
vera azione è ben differente ed è dettata dalla contemplazione di un sogno, di
un progetto di rinascita e non da una paura di soccombere!
Direzionare
i pensieri, l'energia neuronale e le capacità attentive a favore o contro
qualcosa la rende manifesta, la fa persistere e la moltiplica. Purtroppo non
siamo solo noi ad agire con questo retaggio infantile così bene descritto dalla
psicologia, ma anche la famiglia, le agenzie educative, la società stessa ci
propongono modelli visivi, uditivi,
comportamentali infantili volti a farci ricercare la felicità fuori di noi – in
un nuovo sistema di governo, in uno stipendio maggiore, in una diversa
posizione sociale – cioè nell’unico luogo dove essa non può trovarsi,
soprattutto lontano dal nostro vero Sé.
Imprigionati
in tutte quelle programmazioni che si aggirano dentro di noi, inculcate come
copioni dalla nascita, continueremo a deresponsabilizzarci e a dare la colpa
agli altri senza possibilità di cambiamento. Se ci identifichiamo con le nostre
paure e i nostri sensi di colpa, saremo sempre e solo la risposta ad uno
stimolo esterno. Un semplice e tragico esperimento di CAUSA/EFFETTO.